Un giornalista che filma e un carabiniere che apre la fondina. A guardare questa scena ripresa dalla telecamera di Maurizio Bolognetti, giornalista e segretario dei Radicali lucani, si stenta a credere possa essere accaduto in Italia.
Bolognetti è da anni impegnato in inchieste ambientali che riguardano la Basilicata e, in particolare, la Val d’Agri, il più grande giacimento petrolifero d’Europa in terraferma.
Che cosa è accaduto?
“Stavo semplicemente facendo il mio lavoro di giornalista fuori dal Centro Oli di Viaggiano (luogo in cui viene trattato il petrolio che la joint-venture Eni-Shell estrae dai pozzi della concessione Val d’Agri), quando sono stato fermato da una pattuglia dei carabinieri che prima ha voluto identificarmi e poi ha insistentemente ripetuto ‘Sta filmando? È importante che lei non filmi’. Improvvisamente il maresciallo si è slacciato la fondina. Ma la cosa più incredibile, davanti alla mia richiesta di spiegazioni, è stato il tono della risposta: ‘si è aperta da sola’, mi ha detto. Un atteggiamento che mi aspetterei da altri soggetti, non certo da un esponente delle forze dell’ordine”.
L’hai vissuto come un gesto intimidatorio?
“Non saprei leggerlo diversamente. Anche solo per il fatto di avermi voluto identificare quando sono persona più che nota, in un paese di 3800 abitanti: sono anni che filmo, documento, racconto, vado in giro a fare domande, denuncio pubblicamente. Senza contare che quando mi sono presentato dai carabinieri per fare un esposto, qualche anno fa, mi hanno accolto dicendo: ‘Bolognetti, la stavamo cercando!’. Su incarico della Procura di Potenza volevano conoscere le fonti di un articolo in cui parlavo dell’inquinamento prodotto dal Centro Oli di Viaggiano. Lo stesso Cova che martedì mi ero deciso a filmare per il mio reportage Buchi per terra, anche per verificare una denuncia che mi era arrivata in forma anonima secondo la quale esiste una perdita d’acqua di scarto petrolifero da un serbatoio. Peraltro, è importante ricordare che sul trattamento delle acque di produzione petrolifera è in corso un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia”.
Ti aspetti una presa di posizione da parte dall’Arma?
“È quello che chiederò con il mio avvocato. Credo sia opportuno un chiarimento, soprattutto per il rispetto che nutro nei confronti dell’Istituzione e di tutti i carabinieri che svolgono bene il loro lavoro”.
Pare difficile fare il giornalista in Basilicata…
“Quella di ieri non è certo stata la prima volta che ho avuto difficoltà. Nel 2010 subii un fermo di 4 ore da parte dei carabinieri sempre perché, su indicazione della Procura, volevano conoscere le fonti di alcuni articoli in cui denunciavo l’inquinamento delle acque del Pertusillo (bacino artificiale che fornisce gli acquedotti di Basilicata, Puglia e Campania). E siccome opposi il segreto professionale, il magistrato dispose anche la perquisizione della mia abitazione”.
I tuoi sono stati anni di battaglie affinché i dati sull’ambiente fossero trasparenti…
“In vent’anni di trivellazioni i cittadini lucani hanno assistito a una pressoché totale assenza di significativi monitoraggi ambientali e di controllo istituzionale sui processi estrattivi e sul ciclo dei rifiuti ad esso collegato. Per ottenere i dati sul catasto dei rifiuti – obbligatorio per legge! -, a febbraio, ho dovuto fare lo sciopero della fame per 20 giorni. Addirittura Arpab inizialmente sosteneva fosse impossibile fornire la documentazione perché l’impiegato aveva cambiato lavoro, andandosene via con la password e i documenti. Oggi più che mai c’è bisogno di poter discutere su dati certi: è inaccettabile che a distanza di 10 anni dall’obbligo di istituire l’anagrafe dei siti contaminati prevista dal Codice dell’Ambiente, in Basilicata non sia ancora operativa. Direi che è ora di aprire le finestre e fare entrare aria”.
Interpreti quello di ieri come un intralcio al diritto di cronaca costituzionalmente riconosciuto?
“Nessuna legge vieta a qualcuno di filmare se si trova all’esterno di una proprietà privata. In più, sono un giornalista, stavo esercitando un diritto a documentare che io sento anche come dovere nei confronti dei cittadini. Per quale ragione il carabiniere ha affermato ‘è importante che lei non filmi’? Non avevo certo una pistola tra le mani, ma una semplice telecamerina. Vorrei poter dare una risposta positiva a questa domanda: esiste ancora in Val d’Agri, nella Valle dell’Agip, a Viggiano, in Basilicata, in questo Paese, nei luoghi in cui le multinazionali dell’oro nero fanno da troppo tempo quello che vogliono – grazie all’assenza di reali controlli e a connivenze – la possibilità di esercitare il diritto di cronaca, di documentare, di raccontare? Dopo quello che è accaduto a Viggiano si rafforza la sensazione di una insopportabile cappa di piombo accompagnata da silenzi e omertà. Io non ci sto e rivendico il mio diritto e il diritto di tutti a poter cercare la verità, a rivendicare il rispetto del sacrosanto diritto a poter conoscere per deliberare”.