Non esiste gioia nell’esilio, non esiste desiderio nella decisione di lasciare la propria terra, non esiste sogno mentre l’acqua di un mare sconosciuto ti bagna i piedi forse per la prima volta, non esiste volontà nel salire su delle barche che appartengono a moderni Caronte e ti conducono verso la morte. Negli occhi, nei corpi, nella mente e nell’anima degli invisibili affogati nel canale di Sicilia c’era soltanto la speranza di un altrove da raggiungere oltre il mare.
I loro nomi, i loro sorrisi, i loro sospiri, le loro paure, le loro idee, i loro pensieri appartengono alle acque che li hanno travolti e non al mondo che li ha per l’ennesima volta ignorati, umiliati, sfruttati, sradicati, offesi e uccisi.
Migranti: “Colui che si sposta”, gli altri esseri umani le chiamano così queste creature del signore, suggerendo che celata dietro l’erranza di questi uomini esista una scelta, un’opzione, un’opportunità, ma non vi è alcun dilemma tra il restare e morire e il partire e tentare di sopravvivere, tra l’una e l’altra terra esiste solo il mare con i suoi carcerieri.
La libertà è un orizzonte invisibile in una patria di povertà, di guerra e di miseria da cui si è costretti a partire, ma è luce rara anche in un Europa priva di generosità, che non riesce a vedere oltre i propri confini, senza memoria, intrisa di demagogia, di privilegi, di egoismo e indifferente alla storia, alla pace e alla legalità. Un Europa incapace di comprendere come scriveva Albert Camus che “Nell’attaccamento di un uomo alla propria vita c’è qualcosa di più forte di tutte le miserie del mondo”.
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