Quando Matteo Renzi annunciò che le Feste democratiche cambiavano ome e tornavano a quello che ha fatto la storia della manifestazioni popolari nel nostro paese, “Feste dell’Unità “sono stati in molti a tirare un respiro di sollievo a fronte delle minacce di chiusura da parte dell’editore. Noi abbiamo avuto invece un presentimento quasi che il segretario del Pd e premer gufasse, parole a lui molto care. Anche se c’è tutta una linea di pensiero che difende i gufi che porterebbero male. Il presentimento: che invece delle Feste dell’Unità si intendesse parlare di festa all’Unità. Il nostro presentimento purtroppo si è avverato. Ma dal momento che Il Pd si è chiamato fuori dalla gestione i segnali c’erano tutti. Non siamo fra coloro che pensano male, che a Renzi un giornale come l’Unità andava male, di traverso si dice in Toscana. Che sia un giornale fuori dal coro è fuor di dubbio. Il premier ha disponibili autorevoli giornali, carta stampata, televisioni e radio. I commentatori più brillanti, editorialisti di chiara fama, riempiono di elogi l’uomo solo al comando. I sondaggisti poi ci danno un quadro idilliaco del Renzi all’opera. Quindi lo escludiamo come premier, ma come segretario del Partito qualche responsabilità ce l’ha. Possibile che non ci fosse niente altro da fare? Che solo la Santanché alle prese con i debiti delle sue società si fosse fatta avanti? Il comunicato di Nuova iniziativa editoriale , società editrice del giornale fondato da Antonio Gramsci, è lapidario. A seguito della assemblea dei soci i liquidatori comunicano che il giornale sospenderà le pubblicazioni a far data dal 1 agosto 2014.
Arriva subito dopo la risposta del Comitato di Redazione. Poche righe, drammatiche . Ma non un resa. Chi ha passato come me una vita all’Unità non può che provare un immenso dolore. C’è il rischio concreto che quella voce si spenga, che quelle feste con centinaia di migliaia di persone rimarranno nelle storia, quella bella del nostro Paese. “Fine della corsa. Dopo tre mesi di lotta, ci sono riusciti: hanno ucciso l’Unità. I lavoratori- afferma il comunicato- sono rimasti soli a difendere una testata storica. Gli azionisti non hanno trovato l’intesa su diverse ipotesi che avrebbero comunque salvato il giornale. Un fatto di gravità inaudita, che mette a rischio un’ottantina di posti di lavoro in un momento di grave crisi dell’editoria. I lavoratori agiranno in tutte le sedi per difendere i propri diritti.”
E poi l’annuncio che non ci si arrende, che i lavoratori dell’Unità sono in campo. Lo sono anche per noi. Ogni volta che se ne va una voce nel mondo dell’informazione è un colpo alla democrazia, alla partecipazione. Non solo esprimiamo la nostra solidarietà ma diciamo siamo con voi. “ Al tempo stesso, con la rabbia e il dolore che oggi sentiamo, diciamo- afferma il comunicato- che questa storia non finisce qui. Avevamo chiesto senso di responsabilità e trasparenza a tutti i soggetti, imprenditoriali e politici. Abbiamo ricevuto irresponsabilità e opacità. Questo lo grideremo con tutta la nostra forza. Oggi è un giorno di lutto per la comunità dell’Unità, per i militanti delle feste, per i nostri lettori, per la democrazia. Noi continueremo a combattere guardandoci anche dal fuoco amico. “
Quel “ fuoco amico” dice più di mille parole. C’è chi si scandalizza quando qualcuno parla di democrazia autoritaria a proposito delle legge di riforma costituzionale ed elettorale. Però una riflessione sullo stato della nostra democrazia sarebbe il caso di farlo. Proprio partendo dall’Unità, un giornale con una storia di straordinaria importanza che viene messo in liquidazione rappresenta una ferita profbnda nel mondo dell’informazione. “ Il tasso di democraticità di un paese, scrive Carlo Buttaroni ,presidente di Tecnè, si misura anche attraverso la pluralità delle voci che l’attraversano.” L’Economist colloca l’Italia al 31°posto tra le “democrazie imperfette”. Una qualche analogia con “ autoritarie” c’è, purtroppo. Scrive sempre Buttaroni : “Con la crisi dell’Unità “ si perde un pezzo di storia, ma, ancor più, si spegne una voce in un Paese che ambisce a guardare alla pari le democrazie e le economie più avanzate”. Non ce lo possiamo permettere. Non lo dobbiamo permettere.