Istintivamente, fino a ieri, un’azienda minacciata reagiva affidandosi ai suoi amministratori, ai suoi legali. Istintivamente, fino a una settimana fa, il sindacato ignorato di un’azienda minacciata compattava i lavoratori e decideva azioni, fino allo sciopero. Dal 40 per cento del PD, 40,8% così siamo più precisi, sono cambiate le regole – già manomesse nelle relazioni Governo sindacati sin dall’arrivo di Renzi a palazzo Chigi – e qualsiasi lavoratore, suo datore di lavoro o sindacato devono adattarsi. Il metodo non è proprio di sinistra, o meglio non è della sinistra che conosciamo alle nostre latitudini, ricorda più quello applicato dal generale Jaruzelski con Solidarność all’inizio delle proteste ai cantieri di Danzica. Poi le cose sono cambiate così tanto che oggi Lech Walęsa tributa un omaggio allo scomparso generale con gli occhialoni neri a forma di schermo Tv, ma intanto lui ha governato la Polonia e vinto un Nobel. Vorrei augurare le stesse cose al nostro Vittorio Di Trapani, ma non sapendo il polacco troverebbe ostacoli in quel paese, sul Nobel ci possiamo mettere d’accordo anche se oggi merita quel riconoscimento solo per la pazienza e il candore della simmetrica escalation nel braccio di ferro tra Usigrai e settimo piano di viale Mazzini. Ma quel premio non è previsto dall’Accademia svedese quindi… Porta pazienza Vittorio e, come sta facendo il Matteo unto di gloria, portaci in Europa.
Portaci a quel tavolo dove si decide, anche insieme agli altri sindacati dei giornalisti dei servizi pubblici europei, come si fa Servizio Pubblico anche in Italia. Portaci a quel tavolo che indica lo stesso presidente del Consiglio: dove si decide la Rai di domani, quali compiti debba svolgere e chi debba decidere – soprattutto – i nomi dei suoi amministratori e direttori. Portaci a quella discussione di finto candore che il premier indica come méta del popolo italiano tutto. Vorrei più quel tavolo e quella discussione della piazza piena o dei programmi sostitutivi (schegge? cinema polacco?) sulle reti Rai l’11 giugno. Vorrei, ma adesso non possiamo farci più nulla, o quasi. Non possiamo più dire “abbiamo scherzato” lo sciopero non si fa. Possiamo solo rilanciare sul piatto, dire a Renzi che se vuole una discussione sulla Rai, sul servizio pubblico radiotelevisivo, siamo disponibili a sederci al tavolo prima del fatidico 11 giugno. Dirgli che non vogliamo parlare di 150 milioni di euro ma di 60 milioni di italiani, di cosa può servire loro nella crisi del paese dalla Rai.
La risposta non può essere di nuovo 150, sarebbe poco, non in termini di soldi ma di idee, di impegno, di lavoro. Vorrei sapere se la strada che indica il Governo, quella di vendere un pezzo di Raiway, sia davvero l’idea migliore anche per mantenere la Rai in condizione di svolgere bene il suo compito. Vorrei discutere di questi temi e non considerare un successo uno sciopero unitario come mai visto prima, nemmeno quando Berlusconi colonizzò viale Mazzini e vie limitrofe. Le baruffe tra sigle sindacali in lotta tra loro era un freno sempre tirato e una manna per i famigli dell’ex Cavaliere. Se poi si vogliono fare i conti sulle sedi regionali non sarà certo un problema mostrare come in quei numeri ci stiano anche gli orari di messa in onda di un palinsesto che si occupa di quasi tutte le ore di una giornata, che può intervenire a qualsiasi punto della notte e, collegandosi con Rai News 24, fare presidio di pubblica utilità, come accadde per i terremoti, le inondazioni o le notti nere delle tante mafie. Parliamo del ruolo di quelle piccole o grandi redazioni che unificano un po’ di più il paese, di quelle sedi o centri di produzione che potrebbero, e in parte già lo fanno, decentrare produzioni facendo risparmiare soldi e arricchendo il racconto di un giorno di lavoro italiano. Renzi non ha torto quando dice delle famiglie italiane che tagliano per restare con i conti nel mese e faticano a capire la Rai. Ha torto – a parer mio – se dice che uno sciopero nei giorni del voto gli avrebbe dato più consenso. Quel giorno votavano anche i cittadini che chiedono da anni non una Rai serva, muta o uno schermo nero, ma un Servizio Pubblico in più, quello radiotelevisivo. Quegli italiani che pagano tutte le tasse e sanno che se non sempre hanno potuto avere quello che gli spettava la colpa principale è da cercare nell’ingordigia dei partiti e di chi, in Rai, ha incassato con naturalezza i benefici di un sistema inguardabile. A destra, in centro e a sinistra, se preferite a sinistra, in centro e a destra. Adesso che siamo tutti nuovi, vergini, carichi di voti e fieramente in Europa, vogliamo sederci a quel benedetto tavolo?
* Presidente nazionale Casagit