Negli ultimi tempi, da più parti, e anche da alcuni Commissari della Vigilanza, si è fatto cenno a un credito di oltre due miliardi di euro che la Rai vanterebbe dallo Stato, un credito accumulatosi anno dopo anno a partire dal 2005 per la mancata copertura dei costi sostenuti dall’azienda nell’adempimento degli obblighi di servizio pubblico: un fatto di non poco conto se si pensa che il governo, con un atto di dubbia legittimità, ha imposto alla Rai un prelievo forzoso di 150 milioni di Euro che la costringerà a mettere sul mercato quote consistenti dei suoi impianti di trasmissione (Rai Way).
La redazione di Articolo 21 ha ricostruito la vicenda a partire dal 2011 quando il precedente CdA della Rai ha inviato al Ministero dello sviluppo economico un atto di diffida con intimazione di pagamento del debito certificato dal modello di contabilità separata approvato dall’AGCOM (art. 47, comma 1, D. Lgs n. 177/05), a titolo di corrispettivo per l’espletamento del servizio pubblico radiotelevisivo, come da attestazione della società di revisione nominata dall’Agcom stessa. Il debito da sottocompensazione dei finanziamenti dovuto per legge a fronte dei servizi resi imposti dall’art. 45 del Testo unico media audiovisivi ammonta a circa 300 milioni di euro annui.
L’applicazione delle risultanze da modello di separazione contabile dal 2005 sino al 2009, periodo di riferimento della diffida, ha reso evidente un rilevante scostamento tra l’ammontare dei costi di servizio pubblico e le risorse pubbliche effettivamente destinate alla Rai, per un ammontare pari ad euro 1.348,9 milioni .
A fronte della diffida, che reclamava il diritto della concessionaria pubblica a vedersi riconoscere e accertare il proprio diritto, a titolo di corrispettivo per il servizio pubblico reso e certificato dai modelli di contabilità separata previsti dalla legge, approvati dall’Agcom e certificati dalla società di revisione prescelta dall’Agcom, il Governo non ha mai adempiuto e neppure ha dato il dovuto riscontro, nonostante la legge disponga a carico dell’Esecutivo l’obbligo di copertura integrale dei costi indipendentemente dalla misura annuale del canone riversato alla Rai.
Con il d.l. n. 66/14 il Governo, aggravando la sua posizione debitoria nei confronti della Rai, non solo non adotta misure per compensare i crediti nel tempo maturati dalla concessionaria pubblica e nelle more tamponati da una politica di spending review di gran lunga anticipatrice delle successive azioni governative (spending review che ha tra l’altro dovuto tener conto dei costi della digitalizzazione interamente sopportata dalla Rai senza alcun contributo pubblico dedicato alla costruzione della rete trasmissiva digitale), ma impone un ulteriore peso di ben 150 milioni di euro con decreto legge: un provvedimento singolare che sconfina nell’ eccesso – se non addirittura nell’abuso – di potere.
In ogni caso, quand’anche il prelievo forzoso fosse imposto dall’ingerenza del Governo, dovrebbe incidere sulle somme dovute e non versate, a computo del credito maturato dalla Rai, riducendo di pari importo (150 milioni di euro) le somme dovute a Rai per l’espletamento del servizio pubblico radiotelevisivo privo di controprestazione economica, secondo le attestazioni del modello di contabilità separata previsto dall’art. 47 del testo unico dei media.
In conclusione: che fine ha fatto quella diffida? L’azione legale ha avuto un seguito? Il Ministero dello Sviluppo ha mai replicato alle motivazioni addotte dalla Rai? Cercheremo di saperne di più.