“Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia. Dopo di che il popolo s’incomincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato. E il mondo intorno a lui lo dimentica ancora più in fretta!”. Queste parole dello scrittore ceco Milan Kundera si attagliano in modo particolare al nostro Paese, dove da oltre 20 anni è in corso un processo di liquidazione della memoria che in questo tempo contorto si è trasformato in un vero e proprio uragano e si appresta a cogliere la sua vittoria definitiva.
E’ vero che il nostro Paese ha sempre avuto problemi con la memoria, tant’è vero che, con una legge del 2000[1], il 27 gennaio, ricorrenza della liberazione del lager di Auschwitz da parte dell’armata rossa, è stato istituito come “Giorno della Memoria”, “al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei”. In occasione del Giorno della Memoria, la legge richiede che siano organizzate iniziative ed incontri, in particolare nelle scuole, “in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia, affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
Si è trattato di un’iniziativa meritoria, che nasce da una risoluzione dell’ONU, ma in Italia il giorno della memoria esisteva già, è stato istituito dalla Storia e fa parte del patrimonio morale del popolo italiano: questo giorno è il 25 Aprile, anniversario della liberazione di Milano, data simbolica del trionfo della lotta di liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista. Questo è il senso del 25 aprile, fare memoria della lotta di liberazione e degli approdi che essa ha apportato nel nostro Paese. Non si tratta solo di ricordare il sacrificio dei nostri martiri caduti nella lotta di liberazione, e qui ad Agliana non possiamo non ricordare il sacrificio di Magnino Magni e Adelmo Santini: rievocando quel sacrificio e quella lotta noi dobbiamo chiederci a cosa sono serviti, qual è il fiore del partigiano che è stato consegnato alle generazioni future.
Il fiore del partigiano è il fiore della libertà!
Non una libertà come mero patrimonio morale, ma una libertà incarnata, insediata nel sangue e nella carne di una comunità di uomini liberi che si è riconosciuta in un orizzonte comune nel quale sono istituite l’eguaglianza, la giustizia sociale, la pace, il rispetto della dignità umana. Quest’orizzonte comune è la Costituzione della Repubblica italiana. La Costituzione è la traduzione nell’ordinamento giuridico dell’annuncio portato dalla Resistenza di una nuova società umana, cioè di un tempo e di una storia nuova in cui fossero risparmiate per sempre alle generazioni future le sofferenze inenarrabili che avevano patito quelle precedenti attraverso le due guerre mondiali, l’olocausto e l’asfissia di una società priva di libertà.
“Dietro ogni articolo di questa Costituzione, – diceva Calamandrei nel famoso discorso agli studenti il 25/1/1955 – o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti.”
Quando noi ci riuniamo ogni anno il 25 aprile per celebrare la lotta di liberazione, questo non è un rito per rievocare un passato che si è definitivamente concluso.
Certo, il fascismo ed il nazismo non torneranno mai più nella forma storica in cui noi li abbiamo conosciuti: i forni di Auschwitz non si rimetteranno a fumare un’altra volta, non vedremo un’altra volta un imbianchino con i baffi che seduce le folle, o un imbecille con la mascella quadrata che si affaccia dal balcone di Palazzo Venezia, perchè le tragedie storiche non si ripetono mai uguali. Sono episodi storici, nella loro specificità, conclusi. Questo non significa che dobbiamo rassegnarci a mettere la resistenza negli scaffali polverosi della storia e considerare il 25 aprile come una patetica rievocazione di un passato che non ci dice più niente, come ci suggeriscono coloro che spudoratamente hanno proposto di abolire la festività civile del 25 aprile.
Il 25 aprile non ci parla solo del nostro passato, ci interroga sul nostro presente e ci pone della domande sul nostro futuro.
Il 25 aprile ci chiama a confrontarci con il dono della libertà che ci è stato consegnato dalla Resistenza, con quel patrimonio di beni pubblici repubblicani che ci è stato tramandato dalle generazioni passate, come testamento di centomila morti, perchè noi lo curassimo, lo mettessimo a frutto e lo consegnassimo, a nostra volta, alle generazioni future.
Ebbene, in quel patrimonio, la giustizia, l’eguaglianza, la dignità umana non sono solo rivendicate, ma sono istituite e garantite attraverso una trama istituzionale che le rende resistenti alle insidie e alle sfide del tempo. Se i principi fondamentali della Costituzione sono antitetici rispetto a quelli proclamati o praticati dal fascismo, tuttavia è l’architettura del sistema istituzionale che fa la differenza ed impedisce che, ove mai giungano al governo forze politiche caratterizzate da cultura o aspirazioni antidemocratiche (è proprio quello che si è verificato in Italia), queste forze possano realizzare una trasformazione autoritaria delle istituzioni, aggredendo il pluralismo istituzionale (per es. l’indipendenza della magistratura e con essa il controllo di legalità) o l’eguaglianza e i diritti fondamentali.
La Costituzione ha insediato la libertà che ci è stata donata dalla Resistenza, rendendo impossibile ogni forma di “dittatura della maggioranza”. Proprio per questo negli ultimi venti anni da un vasto arco di forze politiche la Costituzione è stata vissuta come un impaccio, come una serie di fastidiosi vincoli, di cui sbarazzarsi per restaurare l’onnipotenza della politica. Quale sia il modello di ordinamento a cui puntano le forze politiche che, ormai da un ventennio si avvicendano al Governo del Paese, ce l’ha detto Silvio Berlusconi con la consueta spudoratezza che lo contraddistingue. Qualche anno fa, nel corso di un dibattito pubblico alla presentazione di un libro di Bruno Vespa sui precedenti Presidenti del Consiglio, Berlusconi ha dichiarato testualmente: «Tra tutti gli uomini di cui si parla in questo libro, c’è un solo uomo di potere, ed è Mussolini. Tutti gli altri, poteri, non ne hanno, hanno solo guai. Credo che se non cambiamo l’architettura della Repubblica non avremo mai un premier in grado di decidere, di dare modernità e sviluppo al Paese» [2].
Per bocca di Berlusconi, abbiamo avuto la conferma che nel nostro Paese agiscono potenti forze politiche che prendono a modello istituzionale Benito Mussolini e che hanno per obiettivo quello di demolire l’architettura dei poteri pubblici come configurata dalla Costituzione, cioè il pluralismo istituzionale ed il sistema dei pesi e contrappesi, per concentrare i poteri supremi di direzione della politica nazionale nelle mani di un decisore politico posto al di sopra della legge. Del resto l’obiettivo di demolire l’ordinamento democratico che la Resistenza ci ha consegnato è stato l’oggetto della grande riforma della II parte della Costituzione approvata dalla maggioranza di centro destra nel 2005 e bocciata senza appello dal popolo italiano con il referendum del 25/26 giugno 2006[3]; una riforma che sanciva la supremazia del’Esecutivo sul Parlamento ed attribuiva al Capo del Governo poteri addirittura superiori a quelli che Mussolini attribuì a sé stesso con la legge del 1925 sulle attribuzioni e prerogative del Capo del Governo[4].
Queste forze antidemocratiche non hanno contestato soltanto l’architettura dei poteri ma anche i principi fondamentali contenuti nella prima parte della Costituzione, a cominciare dal principio supremo dell’eguaglianza per finire al riconoscimento della dignità del lavoro. Tant’è vero che, malgrado sia stato istituito il “Giorno della Memoria”, in Italia sono ritornati istituti tipici delle leggi razziali, come il divieto dei matrimoni misti (cioè il divieto del matrimonio del cittadino italiano con determinate categorie di sotto-persone), che è passato nell’indifferenza generale sotto l’usbergo di un c.d. pacchetto sicurezza proposto dal ministro dell’Interno dell’epoca.[5]
E’ vero che la Corte Costituzionale ha cancellato questo ed altri rigurgiti delle leggi razziali contenute nel pacchetto di sicurezza di Maroni, ma il fatto stesso che una maggioranza parlamentare abbia imboccato la strada del ripristino delle discriminazioni è un segnale allarmante di quanto diventi fragile la nostra democrazia, nel momento in cui noi smarriamo la memoria storica. E’ vero anche che alcuni dei progetti più aberranti di queste forze politiche eversive si sono arenati nel corso del dibattito parlamentare. Per esempio non è stata trasformata in legge quella norma del pacchetto sicurezza Maroni, votata da un ramo del Parlamento, che prevedeva nuovamente, dopo le leggi del 1938, l’espulsione dalle scuole italiane dei fanciulli figli di un Dio minore[6].
Oggi si è messa in moto una grande macchina mediatica che vuole farci accettare l’idea che l’abolizione del Senato o la sua trasformazione in una sorta di Conferenza Stato-Regioni sia un grande risultato per la democrazia italiana. E’ curioso che vogliono eliminare il bicameralismo proprio quando l’esperienza storica ci ha dimostrato il valore insostituibile di garanzia della doppia deliberazione parlamentare per le leggi che hanno per oggetto l’ordinamento giuridico ed i diritti fondamentali. Dobbiamo dirlo chiaro e forte!
Se abbiamo conservato la libertà, se il percorso politico verso la dittatura della maggioranza non è riuscito a quelle forze politiche che avevano come modello l’architettura istituzionale realizzata da Mussolini, questo è avvenuto perchè hanno resistito le garanzie che saggiamente i Padri costituenti hanno posto a presidio della libertà. Ha resistito la Corte Costituzionale, ha resistito il sistema dell’indipendenza della magistratura che ha svolto una funzione di garanzia, come argine agli abusi dei leaders politici, il sistema del bicameralismo che, pur in presenza di un Parlamento nel quale è stata annichilita la rappresentanza, ha consentito di rallentare e rendere più meditata la decisione politica, dando la possibilità alla società civile di interloquire con i suoi rappresentanti istituzionali per correggere le scelte più inaccettabili. Proprio l’esperienza storica di questi ultimi anni ci ha insegnato che, se non vi fosse stato il bicameralismo, sarebbero divenuti legge progetti folli, come l’espulsione di migliaia di fanciulli dalle scuole italiane, come il c.d. “processo breve” che consegnava la resa dello Stato alla mafia, o la c.d. legge bavaglio, che disarmava la polizia e la magistratura dei mezzi di investigazione moderni, aprendo la strada all’impunità.
Dopo che la Corte Costituzionale[7] ha dato il massimo contributo possibile alla difesa della democrazia nel nostro paese, cancellando gli istituti più ingiuriosi (per i diritti politici dei cittadini) del Porcellum, una legge elettorale costruita ad imitazione della legge Acerbo voluta dal fascismo, il ceto politico, dopo anni di contrasti paralizzanti, ha trovato immediatamente l’accordo per una nuova legge elettorale che va in direzione ostinatamente contraria alla Costituzione italiana e alla coraggiosa sentenza della Corte Costituzionale.
In un incontro al vertice fra l’uomo politico che per 20 anni ha combattuto una lotta corpo a corpo contro la Costituzione ed il Segretario fiorentino, che la sorte ha posto a capo del principale competitore politico del primo, è emersa una “profonda sintonia” per una legge elettorale che “favorisca la governabilità, il bipolarismo ed elimini il potere di ricatto dei partiti più piccoli “. Questa profonda sintonia non si è limitata alle leggi elettorali ma si è estesa alle riforme della Costituzione. Guarda caso sia la riforma elettorale che le riforme costituzionali, vanno nella stessa direzione, che è quella di ridurre il pluralismo politico, comprimere la rappresentanza, ridimensionare il ruolo del Parlamento (anzi eliminare mezzo Parlamento, cancellando il Senato) e modificare l’equilibrio dei poteri fissato dalla Costituzione per deprimere le istituzioni rappresentative, depotenziare le istituzioni di garanzia e rafforzare il potere conferito nelle mani del Capo politico, al quale viene concesso di instituire in Parlamento una propria maggioranza di Pretoriani da lui nominati, pur disponendo di una minoranza di voti popolari, e di impadronirsi delle istituzioni di garanzia, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale, per evitare che gli possano remare contro. Com’è successo in passato, quando i precedenti Presidenti della Repubblica e la Corte Costituzionale hanno impedito la marcia verso il regime intrapresa dai governi Berlusconi, ridimensionandone la brama di onnipotenza.
Del resto quale sia la concezione del ruolo del Parlamento che anima questi nuovi dirigenti politici ce l’hanno dimostrato recentemente quando una ragazzotta arrogante si è assunta il ruolo di Mangiafuoco [8] e si è presa la briga di bastonare (mediaticamente parlando) un Presidente del Senato che si era permesso di esprimere dissenso rispetto alla riforma-abrogazione del Senato, rimproverandogli di aver rotto i fili e di essere uscito dal suo ruolo di burattino nelle mani del Capo politico. Per questo oggi non possiamo celebrare il 25 aprile ignorando il grido d’allarme lanciato da Libertà e Giustizia, che vede fra i primi firmatari autorevoli esponenti della cultura costituzionale come Zagrebelsky, Rodotà, Carlassare, Pace, che il ceto politico vede come fumo negli occhi:
“stiamo assistendo impotenti – recita l’appello – al progetto di stravolgere la nostra Costituzione (..) per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali. Con la prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo – prosegue l’appello – , l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti) a guardare. La responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo l’attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina accolto”. Sono parole pesanti come pietre, che sferzano questo nostro 25 aprile e ci pongono delle domande a cui non possiamo sottrarci.
E’ curioso che il Segretario fiorentino ha replicato a questa critiche dichiarando: “Io ho giurato sulla Costituzione, non su Rodotà o su Zagrebelsky”.
Ma su quale Costituzione ha giurato il nostro Presidente del Consiglio??? Non certo su quella Costituzione dove è scritto che: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” (art. 1);
dove è scritto: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, secondo comma);
dove è scritto: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.” (art. 48);
dove è scritto: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49).
Data la sua “profonda sintonia” con quel personaggio politico che rimpiange i poteri attribuiti a Mussolini, probabilmente il nostro giovane Capo politico ha scambiato la Costituzione italiana con la Costituzione di Arcore e adesso sta impegnando le sue energie per dare attuazione a quest’ultima.
Quando poi gli stessi politici ci vengono a dire che le c.d. “riforme” (intese nel senso sopra descritto) sono una precondizione per lo sviluppo economico e per il progresso sociale del nostro Paese, questa è una vera e propria bestemmia. E’ una bestemmia perchè presenta l’organizzazione equilibrata dei poteri, frutto della lezione della Resistenza, come una specie di palla al piede che impedisce il progresso del nostro Paese. Ma proprio questa è la tesi del capitalismo finanziario internazionale, rilanciata dal famoso documento della Banca d’affari americana J.P. Morgan del 28 maggio 2013 nel quale si afferma che “i sistemi politici della periferia meridionale d’Europa sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo. ….. I sistemi politici e costituzionali del sud Europa presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo”.
E’ evidente che il modello di democrazia propugnato dai mercati finanziari non coincide con il modello costituzionale consegnatoci dalla Resistenza.
E qui sta la ragione del fervore “riformatore” che ormai unifica tutto il ceto politico.
“Si è fatta strada, non per caso e non innocentemente – recita il documento La Via Maestra- l’idea che questa Costituzione sia superata; che essa impedisca l’ammodernamento del nostro Paese; che i diritti individuali e collettivi siano un freno allo sviluppo economico; che la solidarietà sia parola vuota; che i drammi e la disperazione di individui e famiglie siano un prezzo inevitabile da pagare; che la partecipazione politica e il Parlamento siano ostacoli; che il governo debba essere solo efficienza della politica economica al servizio degli investitori; che la vera Costituzione sia, dunque, un’altra: sia il Diktat dei mercati al quale tutto il resto deve subordinarsi. In una parola: s’è fatta strada l’idea che la democrazia abbia fatto il suo tempo e che si sia ormai in un tempo post-democratico: il tempo della sostituzione del governo della “tecnica” economico-finanziaria al governo della “politica” democratica. Così, si spiegano le “ineludibili riforme” – come sono state definite –, ineludibili per passare da una Costituzione all’altra. “[9]
Ebbene noi a quest’idea che la Democrazia abbia fatto il suo tempo non vogliamo rassegnarci. Noi abbiamo un patrimonio da rivendicare, un patrimonio prezioso, che ci è stato consegnato dai martiri della Resistenza, sul quale abbiamo costruito la nostra identità come Comunità di uomini liberi organizzata in Stato e siamo convinti che non sarà possibile smantellare i caratteri originali e antifascisti della nostra Costituzione. L’impresa della grande controriforma è destinata all’insuccesso, perchè la Costituzione italiana non è scritta sulla sabbia, i suoi principi fondamentali sono incisi, per dirla con parole di Calamandrei, sulla “roccia di un patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità, non per odio, decisi a riscattare la vergogna ed il terrore del mondo”.
Questo Patto saprà resistere alle sfide che ci impone il tempo presente.
Viva la Resistenza!
Viva la Liberazione!
Ora e sempre Resistenza!
* Intervento ad Agliana, 25 aprile 2014
[1]. Si tratta della legge 20 luglio 2000 n. 211
[2]. Cfr Corriere della Sera, 12 dicembre 2007.
[3]. Il Comitato referendario presieduto ed animato dall’ex Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, ottenne una vittoria storica alla consultazione del 25 e 26 giugno 2006, cancellando la controriforma della Costituzione approvata dal Parlamento: i voti contrari all’approvazione della riforma furono 15.791.293 (pari al 61,32% dei votanti), mentre quelli favorevoli furono 9.962.348 (pari al 38,68%).
[4]. Si tratta della legge 24 dicembre 1925 n. 2263, in Gazzetta del Regno 29 dicembre 1925.
[5]. Si tratta dell’art. 1, comma 15 della L.15 luglio 2009, n. 94,che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo con la sentenza 20 luglio 2011 n. 245
[6]. Si trattava dell’art. 45, lett. F, inserito nel disegno di legge che ha dato vita alla L. 15 luglio 2009, n. 94
[7]. Con la sentenza n. 1 depositata il 13 gennaio 2014
[8].Il riferimento è all’album di Edoardo Bennato, Burattino senza fili, uscito nel 1977 e alla canzone Mangiafuoco: Non si scherza, non è un gioco sta arrivando Mangiafuoco/ lui comanda e muove i fili/ fa ballare i burattini/State attenti tutti quanti/non fa tanti complimenti/ chi non balla, o balla male/lui lo manda all’ospedale/Ma se scopre che tu i fili non ce l’hai/se si accorge che il ballo non lo fai/allora sono guai!
[9]. Così recita il documento, La Via Maestra, firmato da Lorenza Carlassare, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky con il quale è stata convocata la manifestazione del 12 ottobre 2013 a Roma.