Raggiungiamo Moni Ovadia il giorno della morte di Claudio Abbado. Visibilmente scosso ed emozionato per la perdita di un uomo di “grande valore umano e civile”. “Un artista purtroppo ben poco valorizzato dal nostro Paese” sottolinea Ovadia. “Sia come musicista che per il suo impegno nelle battaglie civili e sociali. Per questo lasciò l’Italia. D’altronde l’Italia tende a trascurare la grandezza delle persone di maggior talento. Dario Fo non ha neanche un teatro….” “C’è una parte ampia della classe dirigente che non ama questo Paese, che considera l’Italia terreno di conquista, di sfruttamento, di giochi politici. Riflettevamo alcuni giorni fa con Renzo Arbore sul fatto che in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia non siamo stati capaci neanche di raccogliere in una pubblicazione quei canti che rappresentano le nostre migliori tradizionali nazionali. Non abbiamo fatto alcunché per il recupero delle nostre radici”.
Il recupero delle radici è un punto centrale anche dei percorsi storici sulla memoria. Ma come si fa a sottrarre retorica dalle celebrazioni e recuperarne autenticità, come nel caso del 27 gennaio?
Questo è un punto su cui mi sto battendo da anni. Il 27 gennaio sta diventando il giorno della falsa coscienza della retorica. Il limite principale, e il grande equivoco è di non aver capito, prima di tutto, che questa giornata non è stata istituita solo per gli ebrei. Il Giorno della Memoria doveva essere importante per una riflessione comune sull’Europa, sulle ragioni dello sterminio. Per rispondere alla domanda se tutto questo si è determinato per un incidente di percorso o se la degenerazione fosse iscritta nei geni dell’Europa. Parliamo della Germania ma magari ci dimentichiamo dei genocidi commessi dai fascisti italiani in Africa o della pulizia etnica nei paesi dell’ex Jugoslavia. La memoria ebraica non serve agli ebrei che lo sanno già ma dovrebbe essere un paradigma, un immenso edificio della memoria che possa servire anche agli altri.
Singolare che sia proprio un ebreo a dirlo.
La Giornata della Memoria non si deve fare per fare piacere agli ebrei. Gli ebrei hanno la loro memoria “interna”. Io, la Shoah la ricordo tutti gli anni quando vado in Sinagoga e partecipo ai canti e alle preghiere per i defunti di morte violenta.
Eppure, comprensibilmente, tutto è incentrato sulla commemorazione del popolo ebraico. Gli esponenti politici che si recano in visita ai lager di Auschwitz e uscendo dichiarano “io sono israeliano”.
Un’affermazione bizzarra. Mai nessuno che dica anche “mi sento rom, omosessuale, antifascista”. Nei lager nazisti son morti tra gli undici e i tredici milioni di persone . Di questi 6 milioni sono ebrei. Ma 500mila erano rom e sinti, 3 milioni gli slavi e poi omosessuali, antifascisti, testimoni di Geova. Perché non si parla anche di loro? E poi la ex Jugoslavia, il genocidio dei Tutsi, i campi della morte in Cambogia e ovviamente i gulag staliniani. Per questo penso che “il Giorno della Memoria” dovrebbe diventare giorno “delle Memorie” e che si parli di tutto questo con lo scopo di edificare un mondo di pace, di eguaglianza, di giustizia sociale. Altrimenti è pura retorica.
Tenere viva la memoria affinché ciò che che è accaduto non si ripeta
Esattamente . Questo il lascito di Primo Levi secondo cui ciò che è successo può ancora succedere perché è stato partorito da uomini, non da mostri. Pertanto la memoria deve essere rinvigorita quotidianamente. Forse chi lo ha capito meglio sono stati i tedeschi che si sono fatti la domanda principale: come mai una grande nazione civilizzata nella quale sono nate tra le più grandi espressioni della letteratura, della musica, e della cultura in generale, è precipitata nella barbarie del nazismo? Domanda che in Italia non ci siamo fatti a sufficienza. E invece dovremmo chiederci perché un paese cristiano, cattolico ha potuto produrre un regime che ha varato leggi razziali perfino peggiori di quelle dei nazisti.
Non abbiamo fatto i conti a sufficienza col nazismo e col fascismo?
Abbiamo fatto finta. Tante commemorazioni retoriche ma poche analisi profonde. Mi tolgo il cappello sull’immane lavoro fatto dai nostri insegnanti che ha permesso a milioni di giovani di sapere cosa fossero i lager nazisti ma bisognerebbe che nelle scuole si spiegasse che gli ebrei non furono le uniche vittime del genocidio.
Quanto può servire l’informazione, tv, radio, giornali, al lavoro sulla memoria e per creare i giusti “anticorpi”?
Il giornalismo ha una funzione essenziale ma che non svolge adeguatamente. L’esercizio della memoria non può essere limitato alle giornate delle commemorazioni ma dovrebbe essere uno sforzo costante. Anche attraverso confronti con gli orrori di oggi. L’Iraq ad esempio dove, all’epoca delle Guerre del Golfo sono stati compiuti crimini di guerra in nome di armi di distruzione di massa che non esistevano. Per questo, ripeto, la giornata deve diventare “delle Memorie” per rilanciare, attraverso l’edificio della memoria un’azione comune per portare pace, uguaglianza sociale e applicazione vera dei diritti. Una condizione universale dell’esistere dove ogni persona sia libera di circolare nel mondo senza restrizioni di diritti e di dignità.
* Pubblicato sul Radiocorriere Tv