Avevamo visto materassi sistemati ovunque , nei corridoi, nei sottoscala. Avevamo visto intere famiglie dormire all’aperto, sotto la pioggia, bambini giocare nelle pozzanghere. Ma quello che mostra il filmato amatoriale di Khalid va oltre ogni immaginazione e trasforma il centro di accoglienza di Lampedusa in un campo di concentramento. Uomini nudi in mezzo ad una folla di altri uomini in fila. Li visitano i medici che decidono chi deve essere sottoposto al trattamento e chi no. Sono migranti eritrei, siriani, ghanesi, nigeriani, kurdi. Ci sono anche i sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre in quella fila, costretti a spogliarsi di fronte a tutti e ad aspettare il proprio turno, di disporsi di fronte ad un operatore on una pompa piena di disinfettante a braccia larghe, come fossero su una croce. È dicembre, il 13 dicembre, ma Khalid ci dice che succede tutte le settimane. È la disinfestazione per la scabbia, una malattia della pelle che molti di loro hanno preso proprio nel centro di accoglienza, ance se molti altri non ce l’hanno affatto quella malattia, ma subiscono ugualmente l’umiliazione del “trattamento”.
Non è la pompa il problema, la profilassi lo prevede, ma il luogo, l’umiliazione, la perdita del senso di umanità che avvolge tutta quella situazione. È questo che lascia sgomenti. Gli operatori della cooperativa Lampedusa accoglienza, che gestisce il centro, governano la fila con la disinvoltura di chi fa questo tipo di lavoro da sempre. È come se il limite del trattamento disumano e degradante fosse stato superato da tempo, e nessuno se ne fosse accorto. Immagini che gridano vendetta e che mettono l’Italia in competizione con la Libia paese del quale quasi tutti i migranti che attraversano i mediterraneo e approdano a Lampedusa, conoscono le umiliazioni del carcere, le violenze, gli stupri.
Sono tutti in fila in silenzio quegli uomini. Nessuno si lamenta. Il metro con cui loro misurano l’orrore è certamente diverso dal nostro, ma tra quegli operatori, quei medici, quegli infermieri che mettono in scena quella violenza, nessuno sembra dubitare per un solo istante.
Ci dice Khalid: arriviamo sulle barche, forse anneghiamo, forse no. Paghiamo un sacco di soldi. Vogliamo andare in Europa e vivere qui con le nostre famiglie, costruirci una nuova vita. Arriviamo qui e questa è l’accoglienza che troviamo. Ha ragione il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini: è il modello di accoglienza del nostro paese che dobbiamo cambiare e anche in fretta, prima di assuefarci tutti all’orrore.