Più di una volta abbiamo cercato di richiamare l’attenzione su un fatto che viene sistematicamente ignorato, e soprattutto dalla classe politica che al contrario avrebbe il compito di occuparsene e di trovare le possibili soluzioni. Su cento frane e alluvioni, disastri provocati dal cattivo tempo che si verificano in Europa, ben 62 avvengono in Italia. Ripeto: 62 su 100. Ora è evidente che gli effetti di quanto accaduto in Sardegna, paragonabile ai disastri che ciclicamente devastano gli Stati Uniti o l’Asia, non possono essere annullati; però limitati sì. A patto, evidentemente di avere e dotarsi di una cultura del territorio. Significherebbe salvare vite umane. Significherebbe alla lunga risparmiare anche dal punto di vista economico.
Quei disastri provocano danni almeno per un miliardo di euro l’anno. Quanto si investe in prevenzione? Trenta milioni. Non ci sono soldi, si dice, per difendere oggi il fragile suolo nazionale. Ma quello che si risparmia sul fronte della prevenzione lo si spende, dieci volte di più, quando poi si tratta di far fronte in qualche modo all’emergenza.
La messa in sicurezza del territorio è la sola Grande opera assolutamente indispensabile al Paese. La commissione Ambiente della Camera ha votato all’unanimità una risoluzione sottoscritta da tutti i gruppi politici, che chiedeva di fare molto di più, e si quantificava in almeno 500 milioni annui lo stanziamento necessario. Come abbiamo detto ne arriveranno, se va bene, trenta. “L’attuale legge di stabilità“, si legge in un documento dell’Ordine degli Ingegneri, “prevede lo stanziamento di 180 milioni di euro in tre anni per fronteggiare una tra le più gravi emergenze del nostro Paese. Secondo una stima del ministero dell’Ambiente, servirebbero 11 miliardi di euro per la sola messa in sicurezza delle zone a rischio. Dagli anni ’90 ad oggi ne sono stati spesi 2 miliardi l’anno per affrontare le emergenze post alluvione”.
Tredici anni a due miliardi l’anno fanno 26 miliardi. Per non averne spesi 11, ne abbiamo spesi più del doppio. E non parliamo dei costi in vite umane.
Nella risoluzione del ministero dell’Ambiente, si legge che «le aree a elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10 per cento della superficie del territorio nazionale (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l’81,9 per cento dei comuni (6.633); in esse vivono 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione nazionale), per un totale di 2,4 milioni di famiglie; in tali aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici e più di 2/3 delle zone esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive». Si tratta di stime elaborate dal Corpo Forestale e contenute in un recente rapporto sullo stato del territorio a rischio idrogeologico. Nel rapporto si parla di “un numero di comuni a rischio straordinariamente cresciuto negli ultimi anni”, ancora più evidente soprattutto al Sud, dove si registra un “abbandono del territorio che amplifica i rischi derivanti dalla carenza di prevenzione”. E’ un rapporto che parla di abbandono e degrado, di cementificazione selvaggia, consumo del suolo, abusivismo edilizio, disboscamento e incendi. Insomma, si raccoglie quello che si semina…Non sarebbe il caso di qualche informazione e inchiesta in più, e qualche insulso giochino in meno?