La legge sulla diffamazione a mezzo stampa approvata, in prima istanza, dalla Camera dei Deputati è un chiaro passo avanti nella direzione della civiltà giuridica europea e della giurisprudenza sui diritti umani poiché abolisce il carcere a carico dei giornalisti, ma contiene anche elementi di evidente arretratezza e condizionamento. E’ una grave delusione, infatti, che il riconoscimento del segreto professionale anche per il giornalista pubblicista sia accompagnato dalla conferma dell’obbligo di rivelare la fonte qualora ritenuta determinante per dirimere una causa di diffamazione. L’interesse riservato dalla legge al segreto professionale per alcune materie (salute, diritto alla difesa, libertà d’informazione, professione religiosa) che riservava perciò questo obbligo a medici, avvocati, sacerdoti e giornalisti è fortemente indebolito ed appare un oggettivo limite non in linea con la civiltà giuridica più avanzata in materia di libertà fondamentali. Anche sull’interdizione professionale per i casi di recidiva si avverte l’obliquità della norma, a fronte della mancata introduzione del Giurì per la lealtà dell’informazione che avrebbe temperato meglio la soluzione di eventuali gravi danni dolosamente causati da un giornalista. Altro motivo di delusione è la bocciatura dell’emendamento sulle liti temerarie in sede civile, spesso avviate allo scopo di intimidire giornalisti e editori con richiesta di risarcimenti esorbitanti e condizionare, fino al silenzio, nei casi dei soggetti più deboli, l’informazione su casi scottanti di inchieste su fenomeni di devianza dell’amministrazione pubblica o della criminalità organizzata. Ancora nubi non diramate ci sono, inoltre, per quanto riguarda gli obblighi a carico dell’informazione via web. La Fnsi confida che in Senato sia possibile compiere un passo definitivo in direzione di una legge per la libertà di informazione, nel giusto equilibrio tra diritti e doveri di lealtà e correttezza. In ogni caso, allo stato, va salutato certamente come positiva la cancellazione del carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa, circostanza che, oltre ad essere un mostro giuridico fuori del tempo, ha causato anche di recente l’esposizione dell’Italia alla condanna da parte della Corte di Giustizia Europea per i Diritti dell’Uomo.