E’ quando il nostro mare si riempie di morti, per metà affogati dall’acqua e per metà soffocati dalla nafta, che le nostre coscienze hanno un sussulto, un singhiozzo, per poi tornare subito a stravaccarsi sul divano dell’ipocrisia. Nulla scuote veramente queste nostre anime grasse e indolenti. Non la vergogna intimata da Papa Francesco. Non le accorate parole del Presidente Napolitano. Non le iniziative del Sindaco di Roma, per una volta gemellato al Ministro dell’interno.
Guardiamo inebetiti in televisione la fila delle 111 bare ed il ripetersi delle immagini col frenetico e ordinato attivismo dei nostri militari a bordo di natanti puliti ed efficienti, alle prese con le facce smunte e sofferenti dei migranti che hanno appena visto la morte in faccia, ma quando quegli stessi migranti ci avvicinano sui nostri marciapiedi offrendoci in alternativa ai calzini la possibilità dell’elemosina di un euro, li scacciamo come appestati.
Il cadavere biancastro che galleggia sul turchese del mare di Lampedusa provoca un ruttino alle nostre coscienze che preferiscono la visione oscena di Berlusconi che precipita scompostamente dal grattacielo del potere, alla quotidianità degli sbarchi dei disperati del mondo. E mentre quelle nostre coscienze pregustano l’orrore di vedere il Cavaliere spiaccicato sull’asfalto di una sentenza definitiva, si grattano l’ombelico dei mali della disoccupazione, dello spread, della crisi finanziaria, dell’esodo dei cervelli migliori e del permanere di quelli peggiori.
Eppure c’è un vincolo che ormai avvolge i nostri mali e quelli dei migranti ed è ora che quelle nostre coscienze si levino, poggiandosi almeno su un gomito, per prenderne finalmente atto .
Il mondo è diventato piccolo e i mali di un popolo diventano i mali di tutti gli altri.
Dovunque scoppi una guerra o governi un dittatore, si generano migranti.
Solo una visione ristretta ed ormai antiquata può pensare che una legge nazionale o un accordo internazionale possano alzare un muro di protezione all’invasione migratoria, perché la legge nazionale opera dopo gli sbarchi e perché gli accordi internazionali non potranno mai arginare sul serio il legittimo anelito degli uomini alla felicità di una vita migliore ed in pace.
Prima se ne prenderà atto, prima si troverà la soluzione che consiste nell’intervento della comunità internazionale tutte le volte che si presenta un conflitto al quale lo Stato interessato non riesce a dare risposta da solo.
In Somalia si è cominciato a farlo favorendo il varo di istituzioni non più transitorie, ma il sostegno, anche economico, deve proseguire incessante perché in Somalia manca tutto. La sicurezza e una vera riconciliazione, per prime, che favoriscano, a loro volta, la ricostruzione.
Ma in Eritrea non si è sin qui intervenuti perché venga finalmente applicata la Costituzione adottata nel 1997 e che il dittatore Isaias Afewerki ha chiuso nel cassetto per evitare libere elezioni.
Gli eritrei che fuggono verso la libertà vengono rapiti da bande di beduini al confine tra Egitto ed Israele per depredarli ed ottenere un riscatto dai familiari oppure vengono abbandonati a morire nel deserto. E neanche in questo caso si interviene, sebbene si tratti di un genocidio noto da anni.
In particolare l’Italia ha verso questi paesi un dovere di tutela perché su di essi ha esercitato il suo colonialismo e perché ad essi è legata da un’influenza politica e culturale anche più recente.
Tutti gli altri Stati che hanno avuto un passato da colonizzatori si sono fatti carico dei problemi dei territori occupati dopo il riconoscimento dell’indipendenza. L’Inghilterra ha mantenuti quei territori tuttora associati nel Commonwealth, cioè nel benessere comune, in cui si è stabilito un libero o preferenziale diritto di migrazione da un Paese ad un altro. La Francia ammise sul proprio territorio, e con la cittadinanza francese, circa un milione e mezzo di pieds noirs che lasciavano i Paesi del Maghreb che nel 1962 avevano conquistato l’indipendenza e mantenne per decenni facilitazioni alla libera circolazione con le ex colonie .
Partecipando al colonialismo al pari di tutte le grandi nazioni dell’epoca, l’Italia volle mostrare al mondo di valere quanto le altre potenze, ma quando si è trattato di assumersi le responsabilità che il colonialismo comportava, l’Italia non solo non ha riconosciuto nessuna facility ai cittadini delle ex colonie al momento di adottare i flussi di lavoratori stranieri sul suo suolo, ma in questi anni ha addirittura elevato alle sue frontiere il muro dei respingimenti indiscriminati dedicati soprattutto a somali ed eritrei.
La comunità internazionale non interviene neppure in Egitto e stenta ad intervenire in Siria, paesi dai quali l’ondata migratoria è già in atto e si aggiunge a quella subsahariana.
Per uscire da questo circolo vizioso, che promette altri morti lungo le nostre coste, l’Italia deve rendersi promotrice in Europa dell’adozione di una vera politica dell’accoglienza che incrementi la rete di protezione e soccorso e, finalmente, porti all’abolizione delle normative “Dublino 2” che costringono i migranti a restare nel primo paese europeo di approdo. Anzi, l’Italia deve stimolare i Paesi ricchi affinché facciano offerta dell’asilo e della protezione direttamente nei campi profughi così stroncando le fonti finanziarie della criminalità organizzata mondiale dei trafficanti di esseri umani.
Ma al suo interno l’Italia deve tornare sui suoi passi abolendo il reato di clandestinità e abrogando i respingimenti previsti dal trattato italo-libico onde evitare accuratamente di accertare il diritto dei migranti all’asilo secondo i principi del Trattato di Ginevra. Occorre anche abrogare la legge Bossi-Fini, che, in buona sostanza, non consente gli ingressi legali in Europa, e deve chiudere definitivamente i CIE, veri e propri lager in contrasto con le nostre regole costituzionali.
http://primavera-africana.blogautore.repubblica.it/