Il dibattito aperto da Articolo 21 è sulla sopravvivenza di una professione le cui forme novecentesche di rappresentanza non reggono più. La comunicazione è cambiata alle radici; Internet, e social media in particolare, non sono la protesi moderna di vecchi giornali e vecchie tv, ma una galassia totalmente nuova che genera profitti ed esplode a prescindere dalla corporazione. Del più prestigioso marker della corporazione, l’Ordine Professionale, abbiamo chiesto per decenni una profonda riforma con un topos classico: (“l’ordine serve comunque, è un po’ pelandrone ma lo riformeremo e via col vento….“) . Domando: può intercettare il nuovo una struttura dove ormai decidono persone che di mestiere non fanno i giornalisti ? Che ha una dirigenza che si rinnova con un sistema elettorale truccato, pletorica, grande quasi il doppio del Senato degli Stati Uniti d’America ? Con una leadership buona a sfornare demagogia a buon mercato, ma incapace di fornire altro che non sia il supporto di carriere ordinistiche con durate da fare invidia al regni di alcuni faraoni d’Egitto ?
Ammiro il lavoro eroico della parte migliore di noi, che all’interno dell’ordine continua a battagliare coraggiosamente da dignitose posizioni di minoranza. Spero che continui, ma i numeri e la storia mi fanno pensare che la possibilità di riformare l’ordine dal suo interno sia morta. Occorre un intervento politico esterno che modifichi la legge del 1963, anche senza concertazione con la corporazione. L’Italia del 2014, con un idoneo pressing di pubblica opinione, potrebbe essere in grado di produrla.
L’altra forma di rappresentanza, la Fnsi, da un decennio ha scelto di allargare la base rappresentata e questo ha fornito qualche buon risultato, ma oggi sembra incagliata di fronte all’esplodere della crisi ed al moltiplicarsi delle diverse forme di precariati possibili, spesso confuse con il lavoro autonomo, la cui rappresentanza sindacale è impresa ciclopica. Aggiungo i rischi di correntizzazione estrema, la disabitudine ad ascoltarsi senza pregiudizi tra geografie di gruppo che con gli anni si sono arrugginite.
Senza demolire l’esperienza positiva di “Autonomia e Solidarieta”, occorre uscire dalla gabbia delle correnti, ritrovarsi attorno alle nuove sfide della fase, chiamare voci e idee anche da fuori della corporazione. Ha ragione Giulietti a dire che dobbiamo vederci, presto e senza steccati: so di riunioni di giornalisti che si trasformano in situation rooms dove si ragiona solo di tattiche, schieramenti ed alleanze, dislocazione di piccoli e grandi eserciti congressuali che forse non esistono più . La prossima scadenza, quella del congresso, non può essere giocata con gli schemi di venti anni fa. Occorre un percorso inedito, capace di affascinare, offrire un luogo in cui si rifletta di futuro e di progetti, di diritti dei cittadini e di garanzie nel web, in cui nomi “altri” e nuovi possano appassionarsi ad un impegno sindacale, sociale e civile.
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