Mentre ci interroghiamo giustamente sull’evoluzione del giornalismo con le nuove tecnologie multimediali, sui nuovi pericoli, manifesti e latenti, per la libertà di informazione nell’era di internet, la nostra professione perde ogni giorno un po’ di autonomia, credibilità e dignità, per mali antichi e arcinoti: su tutti i conflitti di interesse, la spettacolarizzazione dell’informazione e il servilismo, quello palese e dozzinale dei postini di videomessaggi, e quello, non meno grave, ma molto più sofisticato, e per questo molto più insidioso, dei manipolatori di scalette e talk show. E’ il risultato della debolezza della politica, della sua subalternità ai grandi poteri economici e finanziari, obiettivo raggiunto grazie anche al progressivo arretramento dell’indipendenza e dell’autonomia dei giornalisti, i tutori della pubblica opinione, sempre più distanti dalla loro missione. Siamo all’ultima chiamata. E non solo perché c’è la crisi dell’editoria e la situazione occupazionale è drammatica, ma perché forse in troppi ci siamo distratti, abbiamo pensato che la difesa della professione potesse ridursi a una nicchia di tecnicismi sindacali, alla ricerca di pezze, sempre più piccole dei buchi, nell’illusione di trovare formule magiche che non esistono per arginare la deriva. Tutto vano e frustrante, se non si afferma, senza retorica, ma nella pratica quotidiana, l’autonomia della nostra professione, senza la quale l’occupazione non potrà che diminuire, in quantità e qualità, non potranno che aumentare le esclusioni e le emarginazioni delle voci fuori dal coro, delle teste libere, quelle e note e quelle meno note, molto più numerose, schiacciate nelle macchine redazionali, sempre più costruite per penalizzare i cultori del dubbio e delle notizie e premiare i divulgatori a comando di tesi precostituite. E’ ora di parlarne tutti insieme, al di là degli steccati delle appartenenze sindacali, magari proprio a Fiesole. Non c’è tempo da perdere.
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