Il 23 luglio l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha licenziato il nuovo testo contro la pirateria digitale e, a dispetto delle rassicurazioni fornite al Parlamento in due distinte audizioni dal suo presidente Angelo Cardani, il testo – non fornito ai parlamentari – risulta peggiore di quello ritirato dal suo predessore Corrado Calabrò.
Il tema della protezione del diritto d’autore nelle reti di comunicazione elettroniche è un tema di assoluta rilevanza in una società, la nostra, dove l’industria culturale e creativa crea lavoro (talvolta), paga le tasse (quando lo fa) e arricchisce culturalmente la società (non sempre ci riesce). Perciò a fronte dell’allarme delle associazioni di categoria che lamentano mancati introiti per molti miliardi a causa della diffusa violazione dei diritti collegati alle opere d’ingegno, l’AGCOM è intervenuta a più riprese per limitarne i danni veri o presunti. Veri perchè sappiamo tutti che da Napster in poi passando per The Pirate Bay e Bit Torrent è diventato più facile appropriarsi di un film, un disco, un saggio con due colpi di click e senza pagare, presunti perchè molti studi indipendenti dicono che i danni della pirateria sono limitati.
Il regolamento
Comunque sia l’Autorità ha licenziato lo schema di regolamento “in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70” , informando il Parlamento a cose fatte e l’ha messo in consultazione pubblica fino al 23 settembre.
I punti preoccupanti del regolamento sono sempre gli stessi: l’Autorità che si arroga il diritto di scrivere leggi e di farle rispettare con tribunali speciali; lo squilibrio tra gli aspetti punitivi e quelli educativi; la scarsa considerazione del punto di vista degli stakeholder non istituzionali; i metodi invasivi necessari all’accertamento delle violazioni che non tengono in conto adeguato la privacy degli utenti; la chiamata in correo degli hoster provider e la lesione dell’autonomia e dell’indipendenza degli Internet Service Providers sulle cui reti e piattaforme possono avvvenire le violazioni; infine la compressione dei diritti della difesa rispetto all’accusa dei soggetti interessati e la marginalizzazione della Magistratura.
Molte sono infattti le reazioni. “La prima cosa da sottolineare” ci dice Juan Carlo De Martin del Politecnico di Torino, “è che non si fa una consultazione pubblica d’estate con tempi così stretti.” “L’Unione Europea si prende sei mesi per conoscere il punto di vista degli stakeholder e preannuncia ogni consultazione con un largo anticipo. Questa della consultazione balneare è una pratica tipicamente italiana e in questo caso è forte il sospetto che sia stato fatto a bella posta visto che la società civile – esperti, associazioni, università, ha bisogno di più tempo per offire spunti e correzioni”.
Secondo Fulvio Sarzana c’è di peggio. “Intanto è discutibile che un ente amminisitrativo di nomina politica e oggi interamente governativo nella sua composizione, si arroghi il diritto di emanare un regolamento in assenza di una chiara indicazione del Parlamento”. Secondo l’avvocato Guido Scorza invece “non c’è nessun bilanciamento tra l’offerta legale dei contenuti e le misure di enforcement.” Infatti, su 19 articoli suddivisi in 5 capi solo 2 sono dedicati alle misure per la promozione dell’offerta legale, tutto il resto è enforcement.
Cardani all’audizione al senato del 17 giugno e a quella del 17 luglio alla Camera aveva detto che le iniziative dell’Autorità si sarebbero concentrate sull’educazione al consumo dei contenuti digitali da parte degli utenti e la promozione dell’offerta legale di contenuti da parte dei titolari dei diritti. Così non è stato. C’è qualcuno che gli ne chieda conto? Oppure è già al mare?
Intanto c’è da registrare un durissimo comunicato dell’AIIP appena diramato che dice che “I provider, senza alcuna distinzione tra le diverse figure già presenti nella normativa, dovranno rimuovere selettivamente interi siti, link, frammenti di opere digitali, in base ad un Ordine dell’autorità.” In virtù di un regolamento che trasforma “ogni intermediario della rete in un organo di polizia giudiziaria che controlla 24 ore su 24 l’intera rete mondiale, senza che tale ordine, già peraltro ritenuto illegittimo dalla Corte di Giustizia, venga sottoposto alla verifica della Magistratura.”