Rai, la casa degli italiani ed il sisma continuo

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VERSO IL CONVEGNO DEL 2 LUGLIO AL CNEL (Art.21/Fondazione Di Vittorio) L’Italia è un paese a rischio sismico ed anche recenti avvenimenti ce lo dimostrano; ma per fortuna è difficile che un evento sismico ,una volta che abbia sfogato la propria forza, si ripeta nello stesso luogo se non dopo anni. La Rai ,invece,  nel nostro Paese è uno “spazio” ben preciso e notevolmente circoscritto (quanto imbrigliato) nel quale periodicamente si susseguono terremoti; e non si fa in tempo a ricostruire che subito nello stesso luogo ,i palazzi delle decisioni,in particolare a Viale Mazzini, vengono “terremotati”. Difficilmente una qualsiasi azienda ,così come un Palazzo di cemento armato, potrebbe resistere a questo sisma periodico: la RAI no,sinora ha resistito, ha in sé sempre energie nuove e rinnovate che fanno ricostruire le proprie strutture, sulla forza delle donne e degli uomini che qui si sono formati ed ora ci lavorano, anche in questo periodo di scosse telluriche che rinnovano, arrivando da problemi irrisolti e solite forze esterne,i timori del passando pur nella voglia di guardare il futuro. Ma anche chi arriva da fuori, da altri enti o aziende, finisce per innamorarsi presto della forza creativa che la Rai esprime,della sua capacità attrattiva e fondamentale nel crescere,vivere,soffrire,in sintonia con la società italiana.

Forse perché la RAI ha in sé il germe costituzionale, diventato DNA, del Servizio Pubblico che i creatori della nostra azienda avevano ereditato dai padri costituenti e avevano voluto fosse parte integrante della rinascita post bellica, sia economica che sociale. Diceva Adriano Olivetti che l’armonia di una azienda si rivela nella capacità innovativa del proprio prodotto: se non esiste  il presupposto progettuale di lunga visione del proprio posto nella società, non esiste neanche la ricerca, la qualità, l’innovazione, la creazione.  Cito Adriano Olivetti non a caso: negli anni in cui ad Ivrea si creava il primo computer al mondo, al Centro di Ricerche della Rai di Torino, i tecnici Rai studiavano già il montaggio elettronico,superando la pellicola ed arrivando a sperimentare prima di Ampex e Sony le riprese  su nastro con la telecamera ad impressione “puntiforme” delle immagini . Una innovazione che era arrivata sino a pochi anni fa perché pochi ricordano che nel 1990,la RAI trasmise i mondiali di Calcio in Alta Definizione, da Torino, davanti ad una platea che si riconosceva negli occhi sgranati dallo stupore dell’avvocato Gianni Agnelli.

L’Olivetti è finita, Ivrea produce solo pezzi di ricambio; Noi siamo ancora nel pieno di un rinnovamento,la digitalizzazione, che apre prospettive incredibili sino a pochi anni fa. Se noi oggi possiamo pensare al futuro è perché tutti i passi  importanti alle nostre spalle, furono resi possibili dall’orgoglio di essere Servizio Pubblico Radiotelevisivo,cioè giornalisti, tecnici, dirigenti della più grande industria culturale d’Italia e ,contemporaneamente, persone attente alle richieste che arrivavano dalle parti più sperdute del nostro “stivale” come dalle pieghe più nascoste della nostra società. Protagonisti di varietà ed intrattenimento dove arrivavano le facce strane e le voci stonate delle “corride” ma anche di inchieste  con la faccia della solidarietà verso i ”matti da slegare”  dei giardini di Abele di Sergio Zavoli;  il giro d’Italia di Gimondi e Moser, ma anche le tragedie personali di Pantani.  Velocità, scoop di notizie, tecniche di riprese e montaggio a livello qualitativo mondiale, ma anche curiosità e inchieste sulla povertà,sugli anziani, tra i profughi, a Lampedusa come in Kossovo.

Siamo stati e siamo testimoni del nostro tempo, di quello che viviamo: anche oggi, in un periodo di crisi mondiale ed italiano, pregi e difetti della società, del sistema produttivo e della politica italiana, si rispecchiano nella nostra azienda, l’unico punto italiano dove lo “specchio spezzato” della nostra società è oggi osservabile nel caleidoscopio della nostra programmazione, oltre che nei nostri conti aziendali,per quanto riguarda la crisi economica che viviamo.

Oggi, riprendendo quei momenti della rinascita italiana  del dopoguerra, è importante guardare al futuro, riproponendo il sogno italiano in chiave 2.0; una nuova alfabetizzazione italiana è richiesta non solo dalle nostre coscienze di giornalisti , operatori e dirigenti della Cultura,ma dalla stessa società italiana. Girando l’Italia per l’Associazione Libera, oltre che per la nostra azienda RAI (purtroppo molto meno del passato,  ahimè…) ,sento sempre di più salire la richiesta di Servizio Pubblico, di un punto di riferimento certo nel nostro paese, di serietà e trasmissioni informative dove tutti (dal Presidente dell’Eni all’operaio Indesit o al pastore sardo), possano far sentire le proprie ragioni e richieste per uscire dalla crisi. Un progetto di qualità e legalità , di informazione e intrattenimento “buono, pulito e giusto” (mi si permetta il paragone tra informazione ed agricoltura, ma entrambi ariamo campi determinanti per lo sviluppo umano, l’alimentazione delle menti e delle persone). A noi si chiedono le inchieste per smascherare le burocrazie inefficienti e gli affari in famiglia delle banche e multinazionali, contro la corruzione e gli abusi di potere. A noi si chiede di parlare del centro storico dell’Aquila ancora transennato e dei suoi abitanti che abitano in villaggi provvisori umidi che rischiano di diventare definitivi luoghi di nevrosi e sofferenza. A noi,e soprattutto a noi, si chiede di parlare delle carceri e dei ghetti per lavoratori africani, così come delle acque del mare pulite e dei cibi inquinati.

La RAI nell’immaginario collettivo è questo, è l’immagine della Nazionale di Calcio, ma anche degli sbarchi oggi in Sicilia, ieri a Brindisi: la Rai sono i nostri soldati in Afganistan ma anche quelli a Pec  o in Libano dei quali non si parla più,ma anche quella che trasmette in diretta le bandiere della Pace della Perugia Assisi. La Rai è quella che parla dei morti sul lavoro ,senza chiamarli “morti bianche”, ma che fa vedere anche i successi dei nostri ricercatori al Cern di Ginevra o nella produzione dei turbodiesel di camion e auto, progettato al Centro Ricerche della Fiat. La RAI è quell’inno nazionale che a mezzanotte di ogni giorno si ripete puntuale e coinvolgente sulle frequenze di Radio Rai.

Per questo noi non possiamo pensare al rinnovo della convenzione Stato RAI senza l’immagine del Servizio pubblico che ci guidi come un faro: ben sapendo che senza una nuova legge di sistema che elimini i conflitti di interesse e che  rilanci il pluralismo informativo e culturale italiano, sarà difficile anche per la RAI riconquistare una vera centralità progettuale ed  innovativa.

Quello che serve oggi è un progetto organico, la capacità di dare forza a chi, anche dentro la Rai, tenta di portare a compimento un piano di nuove proposte editoriali, di semplificazione delle strutture, di rinnovo dell’offerta, di eliminazione delle rendite di posizione, rinnovando anche le persone che formano la RAI con concorsi pubblici e selezioni più che qualificate, perché il meglio della Cultura e della Tecnica italiana deve tornare in RAI .

In questo momento però il conservatorismo che frena l’Italia, ha ancora la forza di porre  condizioni e condizionamenti in RAI trovando sponde in chi intende difendere l’attuale sistema di nomina introdotto dalla legge Gasparri.

Non a caso chi oggi parla di spezzettamento o vendita della Rai  si guarda bene dall’affrontare il tema del conflitto di interessi e della legge Gasparri che,viceversa, dovrebbe essere cambiata come primo passo per la liberazione della Rai dai suoi lacci e lacciuoli. E dovrebbe formare il primo terreno di intesa tra le forze che oggi vogliono veramente il rinnovamento della Rai. .

Ma dobbiamo lavorare su un fronte unico che vede  sia la soluzione del conflitto di interesse, che un progetto di  nostro cambiamento: abbiamo visto in questa dirigenza Rai anche idee e progetti che ci hanno fatto intravvedere uno sforzo innovativo  che vorremmo incoraggiare perché sia realizzato, senza eliminare quel DNA di creatività ed esperienza del Servizio Pubblico che noi tutti ci portiamo dietro. Colpire il DNA non conviene mai,ma intervenirvi per modificare le malattie genetiche  fa parte della scienza del futuro, purché non si intacchi la catena complessiva dei geni, quella forza e capacità di leggere il mondo  sia con gli occhi dell’umanesimo italiano del 2000 che con la forza della nostra esperienza,quella che arriva dallo scorso secolo; non siamo certo conservatori e ci piace parlare di innovazione, ben sapendo che senza le proposte ed il bagaglio culturale che noi tutti ci portiamo dentro e che esprimiamo nella quotidiana elaborazione intellettuale di servizi,trasmissioni e programmo radio-televisivi, non si potrà realizzare quel Servizio Pubblico che gli italiani chiedono. Che in sintesi,oggi, si può riassumere nella parafrasi della società italiana come lo specchio frantumato nel quale stentiamo a riconoscerci come singoli e come piccoli/grandi gruppi sociali: ma ,proprio per questo,tutti chiediamo alla Cultura di rimettere insieme i pezzi di quello specchio per ricomporre il “puzzle” del nostro Paese. Ed è alla RAI che oggi gli italiani chiedono di fare questa ricomposizione. Ma  a modo nostro, poco sociologismo, ma tanta umanità, capacità di lettura dei fenomeni sociali e delle singole realtà sia personali che istituzionali, ma anche lettura delle passioni, della voglia di bellezza e di divertimento di noi tutti.


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