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Vendere la Rai, a chi e perché?

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Beppe Grillo ha annunciato la sua intenzione di proporre la vendita di due reti della Rai e di  mantenerne una sola senza pubblicità e autonoma dei partiti. Dal momento che persino il dogma trinitario é oggi in  discussione, figuriamoci se l’esistenza della Rai e della presenza pubblica, non possa essere messa in questione, anzi meglio la sua provocazione che il silenzio complice o imbarazzato degli altri.

La sua proposta, peraltro non nuova nel panorama politico italiano, ha il solito difetto di essere  tanto spettacolare, quanto decontestualizzata. Se, oggi, nelle condizioni di mercato date, si procedesse alla vendita di due reti, gli acquirenti potrebbero essere solo Murdoch o Berlusconi, direttamente o attraverso intermediari, magari il solito tunisino. Prima di vendere alcunché bisogna procedere alla risoluzione del conflitto di interessi e alla separazione  netta tra funzioni  politiche e di governo e la proprietà dei media.
Contestualmente bisognerà reintrodurre le normative antitrust ridefinendo il sistema integrato delle comunicazioni e indicando il numero massimo dei canali (e non delle sole reti) che ciascuno soggetto potrá controllare, in forma diretta o attraverso le partecipazioni incrociate. Dal momento che tali norme dovranno essere poi fatte rispettare dalle Autorità di controllo, sará poi necessario modificare i criteri della loro nomina che oggi assegnano in esclusiva ai governi e ai partiti il potere di nomina.

Questo metodo, in particolare per quanto riguarda l’Autorità di garanzia delle comunicazioni, ha finito per favorire la stabilizzazione  e la conservazione dei conflitti di interesse e delle posizioni consolidate. L’Italia, per altro, deve ancora recepire  alcune indicazioni della commissione europea e del Consiglio d’Europa in ordine alle politiche di liberalizzazione del mercato dei media e di riduzione del controllo politico sulle Autorità e sulla medesima Rai.
Prima di vendere  un bene pubblico, inoltre, sará il caso di favorire il processo di autoriforma in atto e di rivalorizzazione del patrimonio, altrimenti non si procederebbe ad una vendita, bensì ad una svendita al peggior offerente. Invece di partire dal numero delle reti, si parta, invece, dalla necessità di adeguare il modello italiano a quello europeo e di levare l’Italia dall’ultima posizione nella graduatoria europea in materia di libertà del mercato dell’informazione.

Non c’é molto da inventare, basterà decidere a quale modello fare riferimento e si scoprirà che, ovunque, dalla Gran Bretagna alla Germania, dalla Francia alla Spagna, esistono forti e qualificati servizi pubblici (nessuno con una sola rete), una pluralità di soggetti privati. Ovunque sono in vigore  rigorose normative antitrust, e non sanno neppure cosa sia il conflitto di interessi. Questa è la strada da seguire, se davvero si vuole cominciare a sbaraccare un piccolo mondo antico che, sino ad oggi, é riuscito a bloccare qualsiasi ipotesi di riforma e di innovazione, altrimenti tutto resterà congelato, con buona pace di Grillo e delle sue provocazioni. Quando si spara alla luna, o comunque troppo in alto, si rischia, magari involontariamente, di non centrare mai il bersaglio.

Chi davvero vuole cominciare a cambiare qualcosa, e non solo alla Rai, dovrebbe oggi preoccuparsi di concorrere alla scelta  di un presidente della repubblica che abbia nel cuore la Costituzione e voglia, sempre e comunque, anteporre l’interesse generale alla tutela degli interessi privati e del  conflitti di interesse. Per queste ragioni noi di Articolo 21 proseguiremo nel cammino intrapreso senza farci paralizzare dai veti incrociati di chi vorrebbe conservare ogni cosa e di chi, invece, ripropone antiche ricette dei privatizzato di, spacciandole per innovazioni rivoluzionarie.

Se davvero si vuole fare qualcosa, ed oggi i numeri ci sarebbero, anche nelle aule parlamentari, si approvi la legge sul conflitto di interessi, si sbaracchi la legge Gasparri, si metta mano alle querele temerarie, si cancellino così le norme bavaglio, si dia una risposta alle attese dei tanti precari del mondo della comunicazione e della informazione.

Quanto alla Rai esiste già una proposta presentata, a suo tempo da Tana De Zulueta, e poi ripresentata da noi, che già prevede la cacciata dal consiglio di amministrazione di governi e partiti, l’esaltazione della funzione pubblica e di servizio, la formazione di un comitato di garanti composto dalle più prestigiose figure della cultura, dello spettacolo, del cinema, della ricerca, del giornalismo.
Quella proposta fu  firmata da migliaia e migliaia di cittadine cittadini, fuori e dentro la rete.

Si riparta da lì, si riapra la discussione, si affronti da subito il rinnovo della Convenzione tra lo Stato e la Rai, si preveda l’affitto dei canali pubblici a gruppi di produttori ed autori indipendenti, si rendano visibili gli invisibili, ma si evitino improvvisazioni, provocazioni, dilettantismi, perché i servi pubblici si maledicono quando esistono e si rimpiangono un secondo dopo la loro estinzione….


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