Si torna a parlare in questa fase finale della campagna elettorale di conflitto d’interessi. La cosa non puo’ che rallegrarci e ci rallegra anche il fatto che i giornali ricordino la lettera di Bersani indirizzata ad Articolo 21 su questi temi. Questo ci consente di ricordare che al centro del Seminario di Acquasparta c’era proprio quella proposta di legge che avevamo elaborato nella scorsa legislatura e presentato alla Camera con l’appoggio di molti autorevoli colleghi.La proposta e’ stata sottoscritta da un centinaio di colleghi con in testa le firme di VELTRONI, ZACCARIA, DONADI, TABACCI, LEOLUCA ORLANDO, GIULIETTI, PEZZOTTA, CASTAGNETTI, FASSINO, GENTILONI, SILVERI ed e’ contraddistinta dal n.2668 (atto camera)
Nel delineare i principi ricostruttivi di questa legge, dalla quale sarebbe agevole prendere le mosse, mi limito a ricordare che quello del conflitto di interessi costituisce la premessa di un discorso più ampio che si articola anche nella riforma della Rai e di una seria disciplina antitrust.
Diciamo subito che nel nostro paese la mancanza di una disciplina sul conflitto di interessi è alla base di quella che in tutto il mondo è stata definita come l’anomalia Italiana. La legge Frattini approvata nel 2004 è poco più di una finzione e non ha praticamente trovato applicazione, nonostante che i casi di conflitto siano stati numerosi e più volte denunciati. Purtroppo anche le timidezze dell’Agcom hanno nociuto quando qualcosa si sarebbe potuto fare soprattutto in campagna elettorale di fronte alle clamorose violazioni del principio del sostegno privilegiato da parte delle reti Mediaset a favore di Berlusconi.
Comunque vediamo quali sono i principi essenziali della nostra proposta di legge:
a) Diciamo subito che il principio cardine alla base del conflitto di interessi si intreccia con i fondamenti stessi del sistema democratico e richiede a chiunque sia investito della amministrazione della cosa pubblica di non essere condizionato nelle sue scelte di pubblico interesse dai propri privati interessi.
b) Dunque l’uomo di governo che ha rilevanti interessi economici, se vuole esercitare correttamente la sua funzione pubblica, deve prima dichiararli, secondo un principio di trasparenza e successivamente separarsi in maniera netta da questi interessi o ignorare come essi vengano amministrati, fintanto che dura il suo incarico pubblico.
c) Secondo un’impostazione più radicale per evitare questa commistione, al di sopra di una determinata soglia economica di interessi, (in genere si indica un livello patrimoniale di 10,15, 20 o 30 milioni…a seconda del tipo di attività) l’uomo di governo deve alienare le sue proprietà o rinunciare all’incarico. Le leggi in materia disciplinano questi profili, con varie soluzioni ed attribuiscono ad Autorità garanti il compito di sorvegliare su questi principi.
d) Il problema del conflitto di interessi si acuisce visibilmente se le imprese in titolarità dell’uomo di Governo si occupano di profili sensibili (comunicazioni, difesa, settori nevralgici in genere).
e) La commistione tra incarichi di Governo ed imprese di comunicazione è particolarmente delicata perché il conflitto assume in questi casi un valore esponenziale dato che la politica si alimenta naturalmente di questa attività e quindi dal conflitto nasce uno squilibrio proprio nel cuore del sistema democratico. Questa è la ragione per la quale in questo campo sono state prospettate le soluzioni più radicali di cui alla lettera c) e si era proposta addirittura l’ineleggibilità (in applicazione di una disposizione del TU in materia elettorale)
f) Le norme più blande, ma comunque indispensabili, sono quelle poste a presidio della par condicio in Tv tra i soggetti politici e del sostegno privilegiato offerto all’uomo di governo dalle sue televisioni. Le norme ci sono, ma l’applicazione da parte dell’Agcom è molto prudente, tanto per usare un eufemismo. Di qui la gravità del problema che costituisce aspetto rilevante dell’anomalia, condannata in Europa e dalla Commissione di Venezia (Consiglio d’Europa).