Le immagini delle angoscianti urla di un bambino di 10 anni, conteso da padre e madre separati, che chiede disperatamente aiuto alla zia, trasportato a forza da agenti come si trattasse della razzia di uno dei tanti bambini ebrei presi dalle SS al Ghetto di Roma o nel quartiere ebraico di Parigi, resteranno impresse nelle nostre menti e nei nostri cuori per sempre. Ancora una volta si è trattato di un modo esemplare di svolgere la funzione di Servizio pubblico da parte della Rai, dell’intera redazione di Chi l’ha visto? e della conduttrice Federica Sciarelli. Altro che le reprimende fuori luogo e antistoriche del Garante della Privacy, travolto dalla diffusione sul WEB del filmato di Raitre: “di fronte al diffondersi delle immagini del bambino prelevato a scuola dalle forze di polizia e di dati personali riguardanti anche la sua salute, pur se forniti dai familiari, richiama i media e i siti web al più rigoroso rispetto della riservatezza del minore e raccomanda loro di astenersi dal pubblicare e diffondere immagini del bambino e dettagli eccessivi che possano lederne la dignità. L’Autorità si riserva comunque di adottare eventuali specifici provvedimenti a tutela del minore”.
Se si tratta degli stessi provvedimenti coercitivi adottati dai giudici dei minori, dalla polizia e dagli assistenti sociali, allora vuol dire che il nostro paese è tornato non solo all’epoca della censura, ma anche all’oscurantismo e alla negazione dei diritti, specie quelli dell’infanzia!
L’Aiart, l’associazione d’ispirazione cattolica che riunisce non si sa bene quali spettatori TV, presieduta da Luca Borgomeo, che spesso critica programmi TV che offenderebbero il senso comune del pudore e la sensibilità dei minori, ci va giù pesante: “Il servizio di Raitre, al di là del merito della questione, offende la dignità delle persone, viola le norme a tutela dei minori, contrasta con le regole della convivenza civile. E’ il caso che una volta tanto la Rai dica una parola chiara su questo incredibile caso di mala televisione. L’Aiart non ha mai chiesto di assumere provvedimenti disciplinari nei confronti dei responsabili di programmi negativi, ma in questo caso ha il dovere di sollecitare provvedimenti per impedire ulteriori casi”.
Per fortuna,la Rete, prima, e gli stessi TG, poi, hanno ignorato le pressioni censorie e le ventilate punizioni del Garante, facendo esplodere il caso su tutti i siti e spingendo anche le massime autorità istituzionali ad intervenire e chiedere chiarimenti ai vertici della Polizia (i due presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani si sono rivolti al capo della polizia Manganelli, il quale oltre alle scuse per l’azione fuori misura degli agenti si è impegnato a svolgere un’inchiesta rapida)
Come sempre, il dilemma tra immagini violente e tutela dei minori, come protagonisti o come fruitori passivi davanti alla TV, ha prevalso anche nel comportamento dei giornalisti: la spettacolarità vale forse più della difesa della salute psichica dei bambini? E come mantenere l’anonimato delle persone coinvolte loro malgrado?
Certo, è difficile districarsi in questioni così delicate e angoscianti. Cosa prediligere, quali diritti privilegiare e difendere, insomma? Viene prima la tutela dell’inviolabilità universale della persona umana o il diritto totale all’informazione?
A noi sembra sacrosanto aver messo in onda e in Rete un fatto di una violenza inaudita, seppure astrusamente “giustificata” dall’eccezionalità del momento e dei provvedimenti di legge (l’ordinanza del giudice dei minori che consegna al padre la tutela del minore e autorizza le forze dell’ordine ad usare tutti i mezzi possibili per far “rispettare la legge”). Forse si poteva “mascherare” di più voce e fisionomia del bambino, tralasciarne i dati anagrafici e familiari, come suggerisce in una nota il presidente della FNSI, Roberto Natale, che comunque reputa giusto che l’informazione abbia dato “il giusto, grande risalto ad una vicenda che appena pochi anni fa sarebbe stata messa a tacere. Ma e’ violenza che si aggiunge alla violenza della polizia quella che sul bambino hanno compiuto i troppi media (non tutti, per fortuna e per senso di responsabilità deontologica) che hanno trasmesso il video senza preoccuparsi di rendere non identificabile il suo protagonista. Non c’era nessun bisogno di darne il nome, ne’ di far vedere il volto. Sarebbe stato sufficiente adottare pochi, elementari accorgimenti tecnici. La denuncia non avrebbe perso nulla della sua forza”.
Stigmatizzante e senza appello, invece, la riflessione del portavoce di Articolo21, Giuseppe Giulietti, secondo il quale: “La tutela dei minori da ogni forma di violenza e di intrusione anche di tipo mediatico è un valore non contrattabile, sempre e comunque. Nel caso di Padova, tuttavia, lo scandalo sta in primo luogo nello scriteriato intervento di alcuni poliziotti, intervento fortunatamente immortalato da un video che non ha bisogno di commenti, ma di provvedimenti esemplari contro chi è venuto meno alle sue funzioni e ai doveri costituzionali. Il sacrosanto dibattito sulla privacy non può essere utilizzato per sviare l’attenzione da quanto è accaduto davanti a quella scuola”.
Ma è stato l’irrompere della brutalità che ha rotto gli argini di queste barriere deontologiche e giuridiche, il senso civico e la reazione di singoli cittadini ai troppi atti di violenza gratuita che spesso finiscono anche con esiti tragici (i pestaggi dei fermati al G8 di Genova, dei vari Aldrovandi, Uva e Cucchi, poi uccisi, solo per fare qualche esempio). L’uso sempre più diffuso e intelligente delle nuove tecnologie, come i telefonini muniti di videocamera digitale, i tablet, le webcam, ha però rotto quet’ingranaggio della macchina dela violenza istituzionale.
Viviamo in un mondo sotto l’occhio indiscreto di tanti “Grandi fratelli” che ci spiano indiscretamente durante tutto il giorno. Ma siamo anche in un’epoca in cui gli stessi “spiati” possono documentare qualsiasi atto illegale e violento perpetrato dal potere: basti pensare alla forza dirompente delle immagini che provengono dalle zone in rivolta nei paesi arabi, comela Libiaed orala Siria, o dalle manifestazioni di protesta in Grecia e in Spagna.
Il potere, sotto qualsiasi forma si presenti, democratico o autoritario, civile o violento, oggi è dunque sotto l’occhio vigile, uno speciale “terzo occhio”, del popolo della Rete. Il Web può ottundere le coscienze, ma può altrettanto rapidamente liberarle e rovesciare l’ordine costituito.
Chi, insomma, difende realmente la sacralità dell’integrità fisica e psichica del bimbo di Cittadella? Il potere costituito o il mondo dei media che, anche con forme criticabili, ne testimonia lo strazio e la violenza che sta subendo?
Proprio cinquant’anni fa, all’apertura dello straordinario e innovativo Concilio ecumenico Vaticano II*, il papa Giovanni XXIII* si rivolse ai fedeli in piazza San Pietro, che si attardavano nella serata sferzata dall’ottobrino vento dolce romano, con il suo celebre “discorso alla Luna”, levando un pensiero proprio a favore dei più indifesi, i suoi “cari figlioli”, i bambini: “Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza…”.
Ma chi era quel giorno a fianco di quel bambino di Cittadella, conteso e diviso in due, come fosse davanti al giudizio di re Salomone, braccato in un’aula di scuola, strattonato alle braccia e alle gambe con scientifica violenza adulta, per poi essere portato via e internato in una struttura comunque punitiva?