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Rai, dalle furbate alla riforma

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Il presidente Monti, parlando a Bari, si è autocelebrato per le soluzione data alla questione Rai. “Senza cambiare la legge – ha detto il presidente – abbiamo individuato il nuovo vertice e modificato la governance…” Per altro l’aver rinunciato a cambiare la legge ha determinato che anche questo consiglio di amministrazione, salvo l’eccezione rappresentata dal Pd che ha rinunciato ad esprimere direttamente i suoi consiglieri, sia stato direttamente espresso dal governo e dai partiti e questo non potrà che avere conseguenze negative sulla gestione della Rai.

Dal momento che siamo stati, come Articolo 21, tra i non molti che hanno contrastato il dominio del partito del conflitto di interessi e dell’editto bulgaro, non saremo certo noi a rimpiangere quella stagione e a criticare il governo per aver posto fine ad una delle esperienze più umilianti mai vissute dalla Rai nel corso della sua lunga storia.

Non abbiamo nostalgia alcuna per chi ha espulso dal servizio pubblico non solo autori e giornalisti amati dal pubblico, ma anche temi e soggetti sociali non graditi alla oligarchia che aveva e per altro ancora ha messo sotto controllo il polo Raiset.

Eppure non ci piace neppure l’autocelebrazione di Monti e ancor meno il coro a “bocca chiusa” che accompagna ogni decisione dei nuovi vertici della Rai. Peraltro alcuni dei cantori delle gesta della “Rai montiana” sono i medesimi, politici e giornalisti, che hanno cantato le magnifiche gesta dei precedenti direttori generali, persino dei più impresentabili.
Alla prima occasione tireranno fuori i coltelli e colpiranno alle spalle chi davvero tenterà di riformare la Rai e di renderla competitiva sul piano della offerta e della raccolta delle risorse.

Per queste ragioni, anche a costo di litigare con qualche amico e compagno,non abbiamo intenzione alcuna di rinunciare a valutare criticamente, gli atti e le delibere che saranno effettivamente votate, a prescindere dai segnali di fumo abilmente diffusi dagli apparati di propaganda che stanno abilmente eseguendo il proprio compito.
La decisione di nominare la ex direttrice generale,Lorenza Lei, alla Sipra in qualità di amministratrice delegata, ruolo chiave per fare un esempio, non ci è piaciuta, perché la crisi di quella azienda deriva dalle scelte politiche ed editoriali assunte dal gruppo dirigente e dalla volontà di non disturbare l’azienda di proprietà di Silvio Berlusconi.

Questa era ed è la metastasi che ha corroso la Rai e si chiama conflitto di interessi. Fingere di non saperlo può rivelarsi rovinoso. Per questo ancor meno ci sono piaciute le reazioni di chi ha definito “geniale” la scelta compiuta perché così facendo la signora Lei sarebbe stata fatta fuori, messa in condizione di non nuocere, umiliata.

Questo modo di procedere non porterà da nessuna parte, sarà forse un modo furbo, ma non certo geniale, e comunque nominare il nuovo amministratore delegato della Sipra e poi avviare una campagna di immediata delegittimazione si rivelerà una scelta,mediatica e politica, di corto respiro.

Per queste ragioni invece di partecipare ai cori, preferiamo porre pubblicamente alcune domande ai vertici della Rai, al consiglio di amministrazione, alle associazioni sindacali e professionali.

– Come, dove e quando, saranno riaperte le porte della Rai a quanti sono stati cacciati, allontanati, dequalificati per ragioni assolutamente estranee ad ogni valutazione di merito? Non ci riferiamo solo ai volti noti, ma anche a decine di dirigenti, tecnici, amministratori, impiegati, allontanati perché ritenuti non adeguati alla stagione del polo unico Raiset.
– All’epoca della direzione generale di Pierluigi Celli, ed anche sotto la direzione Cappon, furono definiti protocolli relativi ai criteri di assunzione e fu persino istituita una anagrafe professionale per rendere trasparenti gli sviluppi di carriera. Saranno ripristinati?
– Ci sarà una pubblica valutazione dei curricula?
– Sarà dato spazio alla presenza delle donne e di tanti precari figli davvero di un “dio minore”?
– Si procederà alla istituzione di bandi pubblici per la copertura delle principali posizioni strategiche, così come accade in altre tv europee?
– La Rai conserverà il controllo degli impianti di trasmissione o dovrà cogestirli con il privato, magari in posizione di minoranza?
– Invece di scatenare i “tagliatori di teste” per allontanare i talenti e gli spiriti critici sarà istituita una squadra di “cacciatori di teste” con l’obiettivo di scovare e lanciare le migliori energie interne?
– Sarà finalmente possibile darsi l’obiettivo di ridurre ogni anno di almeno il 30% il ricorso agli appalti esterni e magari di rivedere una lista che appare sempre uguale a se stessa negli anni?
– Si potranno finalmente riportare in video le grandi questioni che travagliano il mondo rilanciando una seria presenza estera della Rai e liquidando l’ultimo piano dei corrispondenti totalmente inadeguato alle necessità di una grande azienda pubblica?
– Si potrà definire un moderno piano per la digitalizzazione, per la costruzione di una banca nazionale della memoria, per ridefinire il nuovo statuto dei servizi pubblici come luogo della libertà, del servizio universale, della alfabetizzazione tecnologica, della costruzione di un nuovo e dinamico senso della comunità e della identità nazionale, mettendo invece alla porta localismi e provincialismi feudali figli di una triste stagione politica?
– Le sedi regionali saranno strappate all’attuale isolamento e ricondotte in un circuito che consenta loro di entrare anche nei grandi circuiti internazionali e nazionali diventando davvero la spina dorsale della produzione e buttando così nel cestino della immondizia i disegni politici ed editoriali di chi avrebbe voluto realizzare, anche dentro la Rai, il delirante disegno dell’Italia a tre velocità, condannando le sede regionali ad un futuro di definitiva subalternità ai governi locali e persino agli interessi privati?
– Non dimentichiamo, infine, che l’attuale assetto editoriale, produttivo, organizzativo, sostanzialmente, è modellato sulle riforme degli anni 70, persino la struttura delle reti e delle testate si ispira alla tripartizione e cioè ad un sistema feudale fondato sulla esistenza della Dc, del PSI, del Pci. Può reggere un simile modello? A cosa corrisponde oggi quell’assetto, quali sono le ragioni editoriali e produttive?
– Come passare da un sistema fondato sulle appartenenze ad uno fondato sulla diversificazione dei linguaggi, delle scelte produttive, della specializzazione editoriale?

Si potrebbe continuare con altre domande, ma quello che ci interessa è che finalmente si possa tornare a discutere e ad affrontare questi temi, suscitando un confronto a tutto campo, coinvolgendo nella discussione quanti hanno a cuore il presente ed il futuro del servizio pubblico e non si rassegnano a contemplare la decadenza o, peggio, ad aspettare che dal cilindro esca la proposta di privatizzare e mettere in liquidazione una parte della Rai, magari quella più appetibile e desiderata dai concorrenti.

Chiunque creda davvero nelle possibilità di riforma della Rai ha oggi il dovere di opporsi alla conservazione dell’esistente e ha invece il compito, persino il dovere di reclamare la definizione e la pubblica discussione di un piano di riforma.

Per questo non ci piacciono le “furbate” e invitiamo tutti a concentrarsi sulla sostanza, sugli atti, sulle delibere, sulle scelte, a cominciare da quelle relative alla fine di ogni discriminazione, di ogni esclusione, di ogni editto.
Sino ad oggi questo tema non è stato ancora sfiorato dal nuovo consiglio di amministrazione. Restiamo in fiduciosa attesa, senza atteggiamenti pregiudiziali, ma anche senza applausi gratuiti e fuori tempo.

Da parte nostra, infine, insieme a tante altre associazioni, riprenderemo la battaglia per riportare al centro della prossima campagna elettorale i temi della risoluzione dei conflitti di interesse e del superamento della legge Gasparri.

Sino a quando questi nodi non saranno sciolti il sistema dei media resterà arcaico, stritolato dal conflitto di interessi, dominato da interessi di logge, consorterie, gruppi di interesse.
Tale dominio ha comportato il blocco della innovazione, devastanti distorsioni del mercato, il soffocamento della concorrenza, una Rai con il freno a mano tirato per non disturbare.
Sino ad oggi anche il governo Monti ha dovuto alzare bandiera bianca di fronte alla qualità e alla qualità degli interessi in gioco.Tutto si può liberalizzare, ma non i mercati ” Berlusconiani”, il campo resta minato.
Un ordinamento democratico, tuttavia, non può essere condizionato per sempre dai ricatti, dalle trattative, dai segreti, dai conflitti di interesse, vale in generale, vale, ancor di più, per il sistema dell’informazione.

Per queste ragioni chiederemo a tutele forze politiche e sociali che davvero vogliono porre fine a questo ventennio superare la stagione delle ” maggioranze di emergenza” di condividere le nostre proposte in materia e di sottoscrivere un patto comune per renderle davvero una delle priorità della prossima stagione di governo.
Sarà anche un modo per valutare candidature e schieramenti, al di là delle urla, degli strepiti, delle sceneggiate, della stucchevole disputa sui “moderni e sugli anitichi” che vorrebbe seppellire le distinzioni tra conservatori e progressisti” tra destra e sinistra e magari pure quella tra liberali e liberisti…

Non ci è piaciuta la stagione del berlusconismo, non abbiamo intenzione alcuna di farci incantare dai molti imitatori in circolazione.


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