Non è raro oggi sentir parlare della RAI come di un vecchio arnese dall’odore di muffa che sale da molti suoi programmi. Vedendo certe programmazioni di questi mesi potrebbe anche sembrare vero; ma quel che oggi la Rai rappresenta è ancora un aspetto della confusa e contradditoria situazione sociale che l’Italia vive negli ultimi anni. In questo, la Rai è specchio piuttosto fedele di quanto si agita nelle vene sociali del nostro paese:ma, incapace di leggere in profondità i propri mali, è specchio emotivo più che razionale, rappresentazione di un nervosismo diffuso, spesso senza sbocchi; di una sofferenza vissuta ma non compresa , epidermicamente riprodotta, ma non analizzata e riproposta attraverso i suoi programmi. Una profonda difficoltà che non diventa riflessione, quindi Cultura ed Informazione.
Oggi la crisi della Rai appare come una crisi culturale: non tanto di gestione di una crisi , ma di incapacità (voluta in questi ultimi anni di conflitto di interessi) di far emergere quelle idee che si traducono in programmi, intrattenimento, informazione che dialoghino con il Paese ,in modo interattivo, proponendo cioè analisi e ricevendone in cambio stimoli. Sarebbe il compito di un servizio pubblico attivo e lanciato verso il futuro: raccogliere le migliori persone ed idee per capitalizzare i tanti stimoli e le tante domande che ci arrivano dalla società , riproponendole con quella sintesi e trasformazione che solo lo spettacolo, le inchieste, l’informazione possono fare.
Non è materia nuova per noi: per anni ed in varie occasioni la RAI l’ha fatto, così come il Cinema ed il Teatro (non a caso spesso riproposti dal piccolo schermo del servizio pubblico con questo intento): con le inchieste che scandagliavano i problemi delle famiglie o delle istituzioni, ma talvolta anche con l’intrattenimento “leggero” che hanno inventato “format” nuovi e più adeguati ai gusti del tempo.
Questo rapporto non è stato più possibile dal momento che alla Rai è stato impedito di vedere quel che succedeva nelle nostre realtà e,per questo, da quando molte delle energie migliori di questa RAI sono state espulse o emarginate: dal momento in cui le persone che volevano far vedere la nostra società come era veramente, venivano imbrigliate e poi espulse dalla produzione viva, da un governo aziendale che era asservito ad una idea di televisione che non doveva far vedere “le cose come stavano” , ma solo come “dovevano essere” nella rappresentazione patinata quanto falsa che il potere politico (sempre quello del conflitto di interesse, per esser chiari) voleva dare di sé stesso e della società italiana. E se qualcuno usciva da questo schema, era bollato come diverso e quindi inaffidabile ( quelli di Rai tre, quelli della sinistra…)
I fatti hanno la testa dura e prima o poi emergono nella loro realtà, cruda e spesso dolorosa. Così è stato. Ma intanto in RAI molte frittate erano state fatte, molti consensi si sono persi (all’esterno,tra il pubblico) molte professionalità depresse si sono perse,
Ma non tutte: anzi. La voglia di riprendere il percorso di una Rai vicina ai cittadini perché dialogano con loro, ne prendono gli spunti , ne colgono i problemi (ed anche la voglia di divertimento…), esiste oggi più che mai, con la speranza di veder presto tornare in auge il concetto di Servizio Pubblico Radiotelevisivo. Che non è vecchio odore di muffa, ma nuovo ruolo di produzione di contenuti in un’epoca di Internet dove la fame di notizie, di novità, di analisi e di conoscenza cresce giorno dopo giorno.
Scriveva un po’ di tempo fa Marco Paolini che la cultura “è il sentimento di un popolo”,il comune sentire di una nazione, è la raffigurazione di “ciò che è impagabile, non negoziabile”.
E’ questo concetto di Cultura popolare che oggi serve alla RAI: appunto, non negoziabile, perché basato su un concetto di nazione e di Cultura non elitaria, ma ,giorno dopo giorno, proposta e recepita, rilanciata e dialogante.
In una società da anni “specchio frantumato” nel quale i cittadini non riescono più a trovare una sola forma di “riflessione”, ma tanti pezzi ciascuno dei quali riflette per se’ porzioni di immagini di un mondo ; in una società alla ricerca di una forma nuova di solidarietà e di legami reciproci, la Rai non può adeguarsi a fare solo da specchio frantumato, da ripropositrice dei frantumi. Deve invece far vedere quanti siano e quali conseguenze abbiano i frantumi, ma poi cercare di mettere insieme il “puzzle” di ciò che si è rotto, essere elemento di trasmissione (nel vero senso del termine)di quei fili immateriali ma resistenti, ricchi di contenuti, che creano l’opinione pubblica, che uniscono i puntini dispersi per ritrovarela forma Nazione, la Cultura che ci lega, ormai da 150 anni.
E sbaglia chi vede a questo scopo solo la Tv generalista, che per altro, nella sua tripartizione, è ferma ad un quadro sociale e culturale vecchio di 40 anni. Quei fili immateriali si legano oggi nella Rete, nelle piattaforme satellitari, nei Social Network, nelle radio e Tv locali, nuovi punti di incontro e discussione che hanno sostituito i bar ed i centri di incontro del secolo scorso, ma che, oggi come ieri, chiedono contenuti, sostanza, risposte alle tante domande alle quali oggi nessuno risponde, se non nel caos della Rete, dove tutto sembra vero ed il rumore di fondo ed indistinto della confusione sembra diventare esso stessola risposta. Neipaesi occidentali, come in Oriente, ormai invece sale verso i Network dell’informazione, una impellente domanda di certezze, nelle risposte culturali, esistenziali, scientifiche che solo i Servizi Pubblici (che ambiscono essere tali), possono dare. Perché non hanno fini di lucro e, come dicevamo, portatori di Cultura non negoziabile per altri fini.
La Rai lo può fare, da subito, oserei dire lo deve fare: basta liberare le energie e le persone chiuse nelle stanze improduttive o gettate fuori dall’azienda.
Basta riprendere le “serre creative” che hanno prodotto le innovazioni televisive di questi e dei passati anni (soprattutto passate,visto che da anni si crea poco in Rai).
Basta liberarsi dei lacci e laccioli di una legge Gasparri che ha già fatto guasti inenarrabili e che ancora di più rischia di farne dopo questo 2012. E che allora si chieda al Parlamento in tempi brevi una nuova legge di sistema radiotelevisivo, dalle frequenze alla “governance” Rai.
Basta ricominciare a riprendere le inchieste e le letture dal mondo nel quale viviamo, superando l’ottica provinciale ed asfittica di una vecchia logica di legami territoriali chiusi in se stessi, quando anche la nostra tradizione italiana di territorio aperto ci ha insegnato l’apertura alla diversità di pensiero e di cultura sin dal medio evo!
Basta riprendere i contatti con quel mondo della cultura giovanile che ha bisogno di emergere e di mettersi in gioco accettando l’esame della produzione televisiva, sapendo di poter essere giudicato,ma anche seguito nella propria crescita (nello Spettacolo come nel Cinema e nella Musica).
Basta rimettere al centro della produzione televisiva l’Informazione e le sue potenzialità di Inchiesta e di quotidianità nella fornitura di notizie;
riprendendo i temi più scottanti della nostra epoca, ambiente e lavoro, economia e sviluppo, prospettive e limiti della crescita, rapporto tra territorio e presenza umana, la scienza e l’etica,l’inizio e la fine della vita,le diversità culturali e religiose nel nostro mondo, l’illegalità diffusa e la legalità come prospettiva vantaggiosa nei rapporti umani ed economici. E sono solo alcuni dei temi possibili che contribuiscono a quella Cultura che nasce dalla elaborazione di questi ed altri argomenti, ma sempre in forma vissuta ,dialogante, informativa,creativa (e nelle sue forme più alte, artistica). Una Cultura essenziale, oggi nell’epoca del Web come lo era nel Teatro greco antico, nel formare una coscienza nazionale unitaria.
In questa epoca ,così frantumata ma avvincente, solo la RAI ,in Italia, può svolgere questo compito: bisogna volerlo fare, bisogna volersi fidare delle persone che, oggi più di ieri, vogliono mettersi in gioco anche con ruoli di responsabilità per attuale propositi e programmi innovativi.
Bisogna conoscere le persone di cultura,vere, e portarle in Rai o farle emergere tra le tante energie che la Rai già possiede. Bisogna rimettere al centro l’informazione e l’intrattenimento intelligente. Bisogna gettarsi definitivamente alle spalle le logiche di apparati e appalti personali quanto lucrosi, le corruttele di cordate e di politici.
Bisogna riprendere a volare.
Costa meno di quanto si è sperperato in questi anni per vallette, vallettopoli e via dicendo…