Ciao Renato. L’ultima volta che ci vedemmo fu ad un’assemblea al Teatro Valle. Ecco, quest’ultima esperienza così significativa e importante -centrata sulla cultura come bene comune- appartiene all’impronta nicoliniana. Infatti, l’intensa e variegata attività dell’assessore alla cultura più famoso d’Italia (e forse del villaggio globale, Jack Lang si ispirò a te) ha formato una scuola vera e propria, una tendenza, uno stile. Vale a dire l’ingresso delle culture di massa nello spirito delle istituzioni, la diffusione virale dei saperi come forma identitaria della postmodernità. Persino prima dell’era digitale. In un certo senso traspare da quello stile un criterio generale: la cultura non è un capitolo dell’iniziativa di governo, una brillante sovrastruttura: la cultura è la politica. E il citatissimo “effimero” in fondo è stato proprio il tentativo, riuscito, di far entrare la cultura nella quotidianità, popolarizzandola e intrecciandola con l’agorà metropolitana. La città come scena: questo fu l’intuitivo, rabdomantico modello che illuminò una città oscurata dal clima politico violento, ma soprattutto abituata a vecchie estetiche giocate sulla soggezione alle istituzioni tradizionali –mai cambiandole- o ai finanziamenti a pioggia disorganici e in molti casi occasionali se non clientelari. L’Estate romana divenne una rivoluzione culturale, simbolo e metafora di quella parte delle politiche culturali che l’impianto tradizionale non aveva mai fatto salire in superficie. Si suscitò ciò che Alberto Abruzzese aveva descritto come l’immaginario collettivo, in cui le due culture, quella alta e quella bassa, si mescolavano, e centro e periferie si intrecciavano: i consumi dei beni immateriali ‘esplodevano’ e le straordinarie platee di Massenzio o l’incredibile evento della poesia a Castelporziano o le svariate piazze-auditorium testimoniavano il cambiamento antropologico in atto. Era il periodo dell’esplosione della televisione commerciale e della trasformazione dei beni culturali in strumenti partecipati e collettivi. Insomma, Renato Nicolini è stato un formidabile anticipatore, un vero caposcuola. Replicò a Napoli, fu presidente del Palaexpo a Roma, direttore del teatro stabile de L’Aquila, si occupò del Festival dei due mondi di Spoleto, accompagnò Filippo Bettini (pure tristente scomparso dei giorni scorsi) in tutte le edizioni della bellissima rassegna “Mediterranea” che curò la Provincia di Roma. Drammaturgo, intellettuale eclettico, architetto raffinato (come dimenticare una sua lectio brevis semimprovvisata sul Terragni dopo un invito a Como dove c’è la “Casa del fascio”…… piccole preziose perle di conoscenza che Renato distillava nella normale conversazione giorno per giorno). Insegnava negli ultimi anni all’Università di Reggio Calabria e pure lì svolgeva un notevole lavoro culturale.
Fu un intellettuale e un dirigente politico, come ha scritto con precisione Gianni Borgna, che gli succedette virtualmente come assessore nella prima giunta Rutelli. A metà degli anni settanta, dopo il periodo dell’Università, fu segretario della sezione del Pci di Campo Marzio a Roma e con Walter Veltroni, Goffredo Bettini e lo stesso Borgna partecipava a un gruppo allora assai giovane che divenne un riferimento per la città (e non solo), fino a quando Giulio Carlo Argan lo chiamò a occuparsi di un assessorato che con lui cambiò tutto. L’esperienza continuò con le giunte presiedute da Luigi Petroselli e da Ugo Vetere. Per un periodo tentò l’esperienza di Napoli con Antonio Bassolino. Nel ’93 si candidò a sindaco di Roma in alternativa a Francesco Rutelli. Ne ricordiamo le amarezze e le critiche. Si avvicinò dopo un certo tempo al Partito democratico, di cui è stato componente dell’Assemblea nazionale. Anche qui con uno stile inconfondibile: serio e insieme critico, autonomo ma attento al dibattito. Anzi. L’unico aspetto da correggere dei numerosi ed efficaci ritratti usciti dopo la prematura e tragica scomparsa di Renato è proprio il dosaggio tra la sua militanza politica e civile e la volontà di uscire dai conformismi. Chi l’ha conosciuto da vicino sa che ha scritto bene Gianfranco Capitta, quando ha detto “duraturo come il marmo e inoppugnabile come un teorema copernicano”. Non erano le idee che perseguiva o l’atteggiamento un po’ simpaticamente “dandy” una sorta di mera eccentricità. Erano piuttosto un modo impegnato e impegnativo per contribuire con indipendenza di giudizio ad una grande storia, di cui si sentiva parte integrante. Con sofferenza. Ha interpretato –Nicolini- un modo di essere dirigente politico, fino all’ultimo. Un pezzo cruciale di un’altra idea di politica. Rimane il rimpianto di averlo perso e di non poterne più ascoltare le parole acute e ricche di fascinazione. Forse il nostro mondo poteva raccogliere meglio le sue proposte e le sue testimonianze, ma pure Renato è stato travolto da una stagione superficiale, più che effimera.
La cultura oggi è spesso oggetto di tagli e di ridimensionamenti. Purtroppo. Ma lasci –Renato- un universo, una rete di relazioni intellettuali enorme, quadri e operatori culturali formati alla tua scuola. Ti rimpiangiamo e siamo vicini al dolore dei tuoi cari. Ma sappiamo che un genio non muore mai.